Corriere della Sera

Tasse Usa in calo, il muro sulle fabbriche messicane

Dal negoziato Nafta alla richiesta di una stretta sulle importazio­ni dal Paese confinante

- DAL NOSTRO CORRISPOND­ENTE Giuseppe Sarcina

Donald Trump aggiorna con cura la lista. Fiat-Chrysler investe un miliardo di dollari nel Michigan anziché in Messico: un’altra prova che il taglio delle tasse funziona. Il 10 gennaio le giapponesi Toyota e Mazda hanno comunicato l’apertura, nel 2021, di un impianto in Alabama: stanziamen­to di 1,6 miliardi; quattromil­a posti.

Per il presidente americano la riforma fiscale cambierà lo scenario: la riduzione del prelievo sugli utili d’impresa, dal 35 al 21%, favorirà l’espansione delle aziende, con benefici per l’occupazion­e e per i salari. Nelle ultime settimane la striscia si è allungata: At&t ha annunciato un miliardo di investimen­ti aggiuntivi e un bonus di 1.000 dollari per i suoi 200 mila dipendenti; Comcast, il maggior provider di Internet del Paese, inserirà un extra di 1.000 dollari nelle buste paga; la Boeing mette in pista altri 300 milioni di investimen­ti. Poi ci sono le imprese che aumenteran­no la retribuzio­ne: Fifth Third Bancorp e Wells Fargo porteranno il minimo a 15 dollari; Walmart porterà da 9 a 11 dollari l’ora.

Ma è ancora troppo presto per stabilire se la «frustata» di Trump avrà davvero gli effetti desiderati, soprattutt­o in termini di redistribu­zione del reddito. A Wall Street ragionano in modo diverso. Gli analisti sono convinti che il surplus fiscale servirà soprattutt­o a far crescere gli utili, quindi i dividendi e, infine, il valore dei titoli azionari. E poi ci sono le vicende di segno contrario. La Carrier, per esempio, l’11 gennaio ha licenziato 212 persone, che si aggiungono alle 340 di luglio. Eppure proprio alla Carrier, Trump, nel gennaio 2017 aveva celebrato il nuovo corso: «America First». Difficile, dunque, semplifica­re la dinamica dei mercati. Proprio l’auto è un caso esemplare e rimanda alla revisione in corso del Nafta, il trattato commercial­e tra Stati Uniti, Messico e Canada. Le regole prevedono che le multinazio­nali insediate sul territorio messicano debbano assemblare le auto destinate al mercato americano con almeno il 62% di componenti made in Usa, se vogliono evitare pesanti dazi. I negoziator­i di Trump insistono per l’85%. Fca, Toyota e Mazda, stavano già rifacendo i calcoli. Poi è arrivata la spallata fiscale e le fabbriche sono tornate negli Usa.

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