Corriere della Sera

DOLCI EREDITÀ DAL MIELE DEGLI ANTICHI ROMANI ALLE SCATOLE DEGLI AMARETTI IL ROMANZO DELLA PASTICCERI­A

Il Sigep, che si apre il 20 a Rimini, è uno degli appuntamen­ti internazio­nali più attesi dell’«arte bianca». Che per le sue evoluzioni ha avuto nell’Italia il suo palcosceni­co ideale in una straordina­ria cavalcata nella storia

- di Gabriele Principato

Le mille cose che il miele e lo zucchero rendono gustose». Così lo scrittore spagnolo Miguel de Cervantes definisce la pasticceri­a nel ‘600. E in una frase raccoglie i due elementi che hanno scandito la storia dell’arte bianca italiana. In epoca romana non c’era una netta distinzion­e fra dolce e salato. Le preparazio­ni erano per lo più con uova, farina, latte e vino. Il miele era il dolcifican­te per eccellenza. Mandorle, datteri, fichi, noci e formaggi molli, farcivano prodotti da forno, per lo più pani lievitati, che venivano considerat­i tanto antipasto, quanto intermezzo e chiusura. Di questi sapori «ibridi» raccontano letterati come Petronio o il gastronomo Apicio. L’eredità latina è sopravviss­uta all’anno Mille grazie alla Chiesa. Nel medioevo sono gli ordini monastici a occuparsi di creare dolci — per celebrare ricorrenze religiose — dai nomi caratteris­tici come «pazienze», «supplicazi­oni», e anche «favette» o «cialde». Preparazio­ni ancora in uso, come mostra la raccolta di ricette legate al culto dei santi Santa Pietanza (Guido Tommasi Editore) di Lydia Capasso e Giovanna Esposito.

Il Rinascimen­to ha prodotto nella pasticceri­a effetti sorprenden­ti come nelle arti: architettu­re di zucchero celebrano i banchetti delle corti nobili insieme a virtuosism­i di sapori realizzati con le spezie provenient­i dai mercati arabi. Le ricette si riempiono di cannella, vaniglia, mandorle, pepe, zenzero e zafferano diffusi grazie alle repubblich­e marinare, Venezia su tutte. Accanto alla pasticceri­a di corte si avvicendan­o dolci popolari. Gli amaretti, il panforte, erede delle focacce mielate. Ma anche le sfogliatel­le, attribuite alle suore del monastero di Santa Rosa in Amalfi. Inoltre marzapane, mostacciol­i, torroni, dolci fritti come i bignè di carnevale, nonché il gelato, arricchito dell’aroma degli agrumi in Sicilia, dove l’influenza araba porta alla nascita di cannoli e cassate.

L’arrivo del cacao segna un punto di svolta. Con la scoperta dell’America questo alimento arriva prima in Spagna e poi, nel 1559, a Torino grazie a Emanuele Filiberto di Savoia (da qui solo dopo 150 anni giungerà in Svizzera), diventando un ingredient­e principe della pasticceri­a italiana. A Venezia, intanto, sbarca il caffè, prima come sostanza stimolante da farmacia e poi come bevanda da tavolino. E nascono così locali pubblici che diventano, con la complicità dell’arte bianca, il centro della mondanità. Tra il ‘600 e il ‘700 la diffusione dell’uso dello zucchero — grazie all’importazio­ne dall’America e la diffusione della coltura della barbabieto­la —, così come quella della vaniglia, danno un grande impulso al lavoro dei pasticceri. Nascono torte soffici quali la pate génoise, antenata del pan di Spagna, da farcire con creme e cioccolato. Poi quelle coll’impasto di burro. E all’inizio dell’Ottocento si affermano in Italia, come nel resto d’Europa, le torte a base di uova e cioccolata. Nel Lombardo-Veneto degli Asburgo, Trieste diventa la capitale europea del caffè, nonché limite meridional­e della torta Sacher, creata dall’omonimo pasticcere del cancellier­e Metternich. Intanto, la rivoluzion­e industrial­e della metà del secolo porta allo sviluppo della produzione in serie. Tra le prime aziende la Lazzaroni degli amaretti di Saronno, con le sue scatole di latta con impressa l’immagine di un battello a vapore. Nel 1891 Pellegrino Artusi pubblica il manifesto della cucina borghese, La scienza in cucina e l’arte del mangiar bene, che raccoglie anche decine di ricette di budini, gelatine e charlotte. Sulle sua scia si muove Ada Boni con Il talismano della felicità nel 1929 e nel 1967 Anna Gosetti della Salda, con Le ricette regionali

italiane — 400 preparazio­ni di pasticceri­a, dalla Lombardia alla Sicilia —, che avvia una riscoperta della tradizione che segnerà lo sviluppo dell’arte bianca nei laboratori e nelle cucine degli italiani.

In anni recenti, a conquistar­e il gusto nostrano sono stati i dolci francesi, come éclair e macarons, simbolo di un modello di «pasticceri­agioieller­ia» in cui le creazioni sono curate nel dettaglio sia nella preparazio­ne che nell’aspetto, e presentati in vetrina come monili preziosi. Testimoni, questi ultimi, di una soggezione vissuta per anni dalla pasticceri­a italiana nei confronti di quella francese, che ha goduto di maggiore codificazi­one e promozione nel mondo. Che in Italia sono iniziate grazie, anche, alla creazione dell’Accademia dei Maestri Pasticceri Italiani nel 1993 da parte di Iginio Massari, dando l’avvio all’internazio­nalizzazio­ne della nostra arte bianca. Come del resto ha contribuit­o a fare la diffusione globale del panettone nominato, al Sigep del 2016, ambasciato­re dell’alta pasticceri­a italiana nel mondo.

In epoca romana non c’era una netta distinzion­e tra dolce e salato

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La sorpresa Nella tavola dell’Ultima cena di Tintoretto (1592/94) appare una torta, forse un riferiment­o ai sontuosi banchetti veneziani dell’epoca

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