Spielberg: sfida a Trump
«Libertà di stampa minacciata come ai tempi di Nixon Con facili etichette vengono bocciate le notizie sgradite»
Interpreto la proprietaria del «Washington Post» che disse: «Pubblichiamo» Allora c’erano redazioni di soli uomini, le donne facevano le segretarie Streep Le donne hanno mostrato forza per fuggire dallo stampo in cui le costringono gli uomini Mi auguro che il film le aiuti a trovare la loro voce Spielberg
Spielberg versus Trump: «Oggi la libertà di stampa è ancora sotto attacco dall’amministrazione che, con facili etichette (tipo: è una fake news), boccia notizie che non piacciono a Trump». Il presidente americano è stato il quarto protagonista all’incontro per The Post (dal primo febbraio per 01). È il film con tre monumenti del cinema Usa, Steven Spielberg, Meryl Streep e Tom Hanks, per la prima volta insieme; in tre fanno nove Oscar (4 per il regista, 3 lei, 2 lui). Spielberg e il suo carisma scisso tra effetti speciali e spessore civile. Streep la donna che colleziona premi ma stempera i complimenti in un sorriso che disarma, Hanks e il suo volto da eterno ragazzone.
I tre moschettieri di Hollywood a tutto campo: dalla libertà di stampa che è il cuore del film, alle molestie sessuali. Nel film i due temi non sono lontani: celebra il coraggio di una donna, fino allora vedova, casalinga, si ritrovò proprietaria di un giornale, il
Washington Post, che all’epoca aveva un respiro locale, lanciò la sfida alle menzogne di quattro presidenti sulla guerra del Vietnam. I governi oscurarono i documenti del Pentagono secondo cui era un conflitto che non si sarebbe vinto, eppure si continuarono a mandare al macello i soldati americani.
Spielberg, ma la libertà di espressione, oggi come nel 1971 all’epoca dei Pentagon Papers, è minacciata? «È un diritto che consente ai giorna- listi di essere i veri guardiani della democrazia. C’è una minaccia reale e c’è una attinenza con Nixon che, con un atto inaudito, cercò di negare la diffusione di quei documenti. C’è stato sostegno dalla stampa Usa con manifestazioni di supporto, la stampa deve re- spingere ogni giorno attacchi dell’amministrazione e lotta contro la disinformazione. Il
Washington Post era un giornale di second’ordine, dopo il
Washington Star e soprattutto il New York Times, il primo ad avviare l’inchiesta, ma poi fu costretto a smettere». «In effetti loro avrebbero preferito come titolo il New York Times», scherza Tom Hanks. Perché solo ora il vostro primo film insieme? Meryl è elegante: «Aspettavo l’invito. Alle ragazze una volta si chiedeva se volessero ballare». Hanks si fa serio, il direttore
che interpreta «era competitivo, il senso della sfida guida il film».
«La sfida e il coraggio», interviene Meryl, «quella donna ha rischiato il fallimento e la prigione. Invece pur non essendo consapevole della propria autorità disse: Pubblichiamo. Erano redazioni di soli uomini, le donne al massimo facevano le segretarie. Oggi il coraggio non lo insegniamo abbastanza ai giovani». Le donne lo hanno trovato, denunciando gli abusi sessuali. Perché così tanto tempo per un progetto contro gli abusi come Time’s Up? «Non lo sapremo mai ma una cosa la so: l’aria è cambiata e non solo nel cinema, ma al Congresso, nell’industria e tra i militari... Le donne hanno sempre lottato per affrontare questo problema. Solo quando è stata coinvolta Hollywood le cose sono cominciate a cambiare. Sono ottimista».
«La battaglia dei sessi c’è da sempre», dice Spielberg, «le donne hanno mostrato forza per fuggire dallo stampo in cui le costringono gli uomini. In guerra, quando noi eravamo al fronte, loro capitanarono l’industria bellica. Poi i maschi tornarono a casa, le donne non ebbero la possibilità di capitalizzare la leadership acquisita. E sono tornate in cucina. Il problema è degli uomini, che non mostrano la volontà di riuscire a controllarsi comportandosi in modo adeguato, accettando il “no” di una donna. Mi auguro che il film possa ispirare le donne a trovare la loro voce, a dire: ora facciamo come dico io».