Dovizioso pronto per il Mondiale con una Ducati dolce e cattiva
Sfida a Marquez: «Carico ma con i piedi per terra». Ingaggio da ritrattare
Andrea Dovizioso è stato la storia sportiva più bella del 2017: secondo nel Mondiale MotoGp, sei gare vinte, l’incontro con un nuovo sé più forte e più sicuro, la conquista di una fama pura, non cercata e quasi valentiniana, incredibile per uno che ha fatto del vivere nascosto il suo manifesto: anche per questo lo ha applaudito tutto il paddock (solo Lorenzo un po’ meno...) ed è stato festeggiato come se avesse vinto il titolo.
Da qui il Dovi riparte per l’ultimo passo verso la gloria, e lo fa a suo modo: «Sono carico ma con i piedi per terra». Non fosse lui, sarebbe una contraddizione. Ma Andrea ha in sé due poli opposti che si alimentano, come racconta la parabola del cavallo bianco (razionalità) e del cavallo nero (irrazionalità) dipinta sul casco. E come lui, positivamente doppia, vorrebbe diventare la Ducati: nata potente e rombante ma sempre a caccia dell’agilità che le permetta di diventare dolce e completa: la vera chiave, Marquez docet, per vincere oggi in MotoGp.
Sarà questa la sfida del 2018 ducatista così com’è stata raccontata nel vernissage di ieri a Borgo Panigale davanti alla nuova splendida Desmosedici che dice addio al bianco e abbina al rosso un grigio elegante e cattivo. «Rimangono delle piste che ci mettono in difficoltà, lì dobbiamo intervenire», ha detto Gigi Dall’Igna, g.m. di Ducati Corse. Lui, ingegnere progettista, parla di ciclistica, di più cavalli nel motore, di aerodinamica rifinita. In sostanza, dice Dovizioso, «si tratterà di andare forte a centro curva». Servirebbe a lui per tappare le ultime falle (cfr. il 13° posto di Phillip Island) e a Lorenzo, l’altra punta, per tornare quello che era in Yamaha: «Io e la Ducati ci stiamo venendo incontro: ci voleva tempo, ma ora sono fiducioso. Vedrete il migliore Lorenzo di sempre».
Per ora comunque lo spagnolo è il gregario. Il leader è Andrea e nel ruolo sta da dio: «Essere tra i favoriti non mi mette pressione: la mia carriera è sempre stata così fino alla MotoGp». Sfortune, errori, carattere hanno rallentato il processo, ma ora è il tempo del risarcimento: «Ho capito che non esistono limiti per nessuno. Il modo in cui ho vinto lo dimostra: non da superstar, senza accettare di essere un altro». Basta solo non dire che il titolo è un dovere «perché pochi hanno vinto qui, tanti sono scappati; e perché l’azienda fa i salti mortali per lottare coi giapponesi...».
Dovrà farli anche per tenerlo? Lorenzo guadagna 12 milioni a stagione, Dovizioso 1,5. Il mercato, allora, giustificava il divario. Adesso, in vista dei rinnovi per il 2019/20, è giunto il momento del ricalcolo. Dovi vuole giustamente di più, Lorenzo ha intuito che dovrà prendere di meno. L’a.d. Claudio Domenicali apre a Dovi ammettendo che «ora i valori saranno estremamente diversi per entrambi. Bisogna riuscire a trovare un punto di equilibrio». Il che rischia di essere più difficile che andare forte in curva. «Non corro per soldi ma per passione», esagera Lorenzo. Dovizioso, più cauto, aggiunge: «Non vedo l’ora di parlare del futuro». Anche perché ha intravisto un rischio in fondo al rettilineo: «Parlare troppo di mercato alla lunga potrebbe condizionare la stagione». E viste le premesse tecniche sarebbe un grosso peccato.
Alessandro Pasini