I fratelli cresciuti in fabbrica Giancarlo nel serbatoio per aiutare Arrigo svenuto
Era in pensione, stava insegnando il mestiere a un giovane collega
Due generazioni Loro padre Egidio era lo storico uomo di fiducia dei proprietari, fu lui a farli assumere Tornato dalle ferie Anche «Peppe» Setzu è sceso nella vasca mentre tutti gli altri stavano fuggendo
Arrigo è morto sul fondo del vascone, immobile, stordito dal gas che gli ha lasciato solo la forza di gridare aiuto. Giancarlo, il fratello maggiore, che in quella fabbrica neanche doveva esserci più perché lo aspettava la pensione, invece è ancora vivo. Ma solo perché una macchina continua a pompare aria nei suoi polmoni, nella speranza disperata che riesca a riprendersi. Giancarlo Barbieri è caduto all’indietro, sulle scale, mentre due operai cercavano di strapparlo da quella tomba dove ormai non si respirava. Giancarlo, 61 anni, è andato incontro alla morte per salvare il fratello. Quasi senza pensare, nonostante lui fosse il lavoratore più esperto della Lamina spa. Quando ha visto Arrigo, 57 anni, agonizzante, si è lanciato giù dalle scale per cercare di salvarlo. Arrigo e Giancarlo in quel capannone si muovevano come a casa. Perché di fatto lo era. Alla Lamina i fratelli Barbieri erano diventati uomini dopo che il padre Egidio, da storico uomo di fiducia dei proprietari, li aveva «tirati dentro», come si dice in Brianza. Uniti. Famiglia, lavoro onesto. Fino al fermo immagine di ieri: Giancarlo che, dopo aver chiamato i soccorsi, si precipita in quella dannata fossa ad aiutare il fratello e le altre persone agonizzanti.
Arrigo è morto alle 18.15 di ieri, appena arrivato all’ospedale San Gerardo di Monza, dopo essere rimasto 40 minuti col cuore in extrasistole, col battito cardiaco impazzito. Domenica scorsa era in Val d’Aosta a sciare con Gianni, l’amico di sempre.
Giancarlo lotta ancora in un letto dell’ospedale San Raffaele, a Milano. Le sue condizioni restano gravissime. Intubato, attaccato ad una macchina che sostituisce cuore e polmoni, appeso a un filo. Lui che, da lavoratore anziano, in azienda non avrebbe nemmeno dovuto esserci. Perché Giancarlo, dopo quarant’anni, la pensione se l’era meritata eccome. Ma ci andava lo stesso in quella fabbrica. Perché seguiva un operaio giovane, da formare. Uno a cui insegnare il mestiere. E chi, allora, meglio di lui, operaio espertissimo. I suoi familiari (moglie, figlia, nipoti, sorella), angosciati, fino a ieri sera aspettavano notizie fuori da una stanza d’ospedale: «Ci vuole un miracolo». I medici hanno detto di attendere e di tornare nella loro casa di Taccona, una frazione di Muggiò, comune brianzolo attaccato a Monza.
Nelle stesse ore, al San Gerardo, la moglie e le due figlie di Arrigo Barbieri già piangevano disperate la scomparsa del loro padre e marito («non ce l’ha fatta», il grido di una delle due ragazze al telefono). Cresciuto «alla Taccona», dopo il matrimonio si era trasferito a Busto Arsizio, in provincia di Varese. Alla Lamina spa, era il responsabile di produzione. Da giovane era stato uno sciatore agonista, affermandosi a livello regionale. La passione non l’aveva abbandonato. Era giudice per la Federazione sport invernali. Ogni domenica, quando era possibile, lui e l’amico Gianni partivano, e puntavano le montagne. Sci, snowboard, e tavola da windsurf in estate, spinti dal vento del lago a Colico, nel lecchese.
Gli altri due morti sono Giuseppe Setzu, operaio di 48 anni e Marco Santamaria, elettricista di 42 che lavorava per una ditta esterna. Lui era nella vasca insieme ad Arrigo, il responsabile di produzione. Probabilmente c’era stato un guasto al forno. Alcuni operai hanno parlato di un malfunzionamento nell’impianto di riscaldamento, anche se nessuno ha sentito suonare l’allarme del sensore di gas, che pure era regolarmente funzionante. «Peppe» Setzu, come lo chiamavano i colleghi, in quella vasca era sceso mentre tutti gli altri scappavano dal capannone. Lo racconta il collega Vito, che stava lavorando alla cesoie nella stessa area dell’incidente: «Io ho cercato di afferrare Giancarlo Barbieri ma ha perso i sensi ed è caduto sulle scale all’indietro. Mi stavo sentendo male, mi mancava l’aria e sono scappato. Mentre tutti fuggivano Peppe è tornato indietro. Non è riuscito a uscire lasciandoli lì. Ma non si respirava. Non si respirava più...». Peppe era tornato al lavoro lunedì, dopo un mese di ferie.