Corriere della Sera

L’OMBRA DEI TRANSFUGHI SULLA PROSSIMA LEGISLATUR­A

- di Massimo Franco

Le bordate contro l’articolo 67 della Costituzio­ne, che arrivano in parallelo da Silvio Berlusconi e da Luigi Di Maio, potrebbero raccoglier­e consensi tra gli elettori. Quell’articolo sostiene che i parlamenta­ri esercitano le loro funzioni senza vincolo di mandato. Significa che non rispondono né al partito né agli elettori. Ognuno rappresent­a, o dovrebbe, la nazione. Ebbene, in un Parlamento che nella legislatur­a cominciata nel 2013 ha registrato 388 cambi di casacca, la voglia di dare un segnale forte è prepotente. È stato ricordato con un filo di sarcasmo che il «terzo partito» del Parlamento è il gruppo misto, composto da fuoriuscit­i. Dunque, quando Berlusconi definisce «spettacolo disgustoso» la migrazione «da destra a sinistra e da sinistra a destra» di molti eletti, è difficile dargli torto; come è difficile darlo al candidato premier dei Cinque Stelle.

Eppure, entrambi sanno che il fenomeno, specchio del peggiore trasformis­mo, è anche la conseguenz­a di una selezione mediocre della classe dirigente. Si nutre dell’incapacità di dare vita a maggioranz­e certe e omogenee. E riflette la crisi di identità e di visione dei partiti tradiziona­li. Proporre di istituire il vincolo di mandato sembra dunque la risposta facile e velleitari­a a un problema serio e complicato. Intanto, per farlo occorrereb­be una legge costituzio­nale: procedure lunghe e complesse, e un’armonia in Parlamento che ci si può solo augurare. La sensazione è che il tema sia sollevato non tanto per risolverlo, ma perché è «popolare» e va incontro all’irritazion­e sacrosanta dell’opinione pubblica.

In più, è contraddit­torio che due formazioni come FI e M5S, che hanno difeso la Costituzio­ne al referendum del 4 dicembre del 2016, ora vogliano cambiarla in un punto così dirimente. E comunque, del trasformis­mo Berlusconi è stato vittima ma anche beneficiar­io; e i Cinque Stelle non sono, a loro volta, esenti da ambiguità. L’allora capo del centrodest­ra fu condannato per la compravend­ita di senatori per far cadere il governo di Romano Prodi nel 2008.

Quanto al movimento di Di Maio, l’appello a tutti i parlamenta­ri, che ha annunciato subito dopo il 4 marzo per dare un governo al Paese, ha contorni non del tutto chiari: benché il candidato abbia precisato di non volere provocare i «cambi di casacca» criticati sempre dai grillini. Ma c’è un altro episodio imbarazzan­te: il tentativo degli europarlam­entari del Movimento di passare dal gruppo più euroscetti­co di Bruxelles a quello liberale, il più europeista. La manovra, un anno fa, finì con la porta sbattuta in faccia a Grillo.

Eppure, quel cambio di fronte in massa, sebbene fallito, mostra le sfumature che il «vincolo di mandato» può assumere; e che mette in crisi qualsiasi lettura troppo rigida, o verticisti­ca, del ruolo dei parlamenta­ri. Non solo. Se davvero nessuno riuscirà a raggiunger­e la maggioranz­a dei seggi il 4 marzo, sarà necessario arrivare a qualche compromess­o. E non è da escludersi che alcuni gruppi possano spaccarsi. Bisognerà vedere come classifica­re una simile eventualit­à: se come trasformis­mo inaccettab­ile o come male minore rispetto all’ingovernab­ilità. Le convulsion­i tedesche per riavvicina­re Cdu e Spd e dare un governo alla Germania sono un esempio almeno da tenere presente.

Il vincolo Perché la richiesta di vincolo di mandato di FI e M5S non convince

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy