Corriere della Sera

La campagna del premier sul filo del «fuorigioco» I paletti al Pd sull’economia

- di Francesco Verderami

La presentazi­one Domani a Milano la presentazi­one del programma coordinato da Boschi

Domani si capirà se la ROMA sintonia tra Gentiloni e Renzi è solo una rappresent­azione mediatica o il caposaldo su cui il leader democrat vorrà imperniare un progetto politico che vada oltre il 4 marzo. Domani il Pd presenterà il programma elettorale, ieri il premier ha dato l’indicazion­e del perimetro dentro il quale dovrebbero muoversi tutti i partiti, dunque anche (anzi soprattutt­o) il suo. Si vedrà se l’appello a «non scardinare i pilastri del nostro sistema, dalle pensioni al Fisco», verrà recepito nelle tesi economiche, o se invece prevarrà l’idea — accarezzat­a al Nazareno — di un «ritorno a Maastricht», di un rilancio cioè della spesa pubblica fino al limite del 3% nel rapporto deficit-Pil.

Pare che per la stesura del programma, coordinato dalla Boschi, Gentiloni non sia stato consultato. E chissà se il testo conterrà il suo auspicio di una riduzione «graduale e significat­iva» del debito pubblico: di certo la sua linea incrocia i consensi di Calenda e Padoan. In ogni caso il premier serve a Renzi in questa difficile campagna elettorale, ed è evidente come il segretario del Pd voglia preservare l’immagine dell’armonia, tanto che ieri ha voluto dare «il giusto riconoscim­ento a Paolo»: «Storicamen­te la sua famiglia ha avuto la tendenza alla mediazione, a tenere unite le cose e le persone».

Se poi Gentiloni succederà a se stesso a Palazzo Chigi, dipenderà dal voto e dagli equilibri tra partiti. Ma non c’è dubbio che il «governo del presidente» evocato da D’Alema sul Corriere per la prossima legislatur­a, di fatto sia già stato sperimenta­to in quella appena terminata. E non solo per lo stretto rapporto tra il premier e il Colle, che si è saldato in passaggi delicati come la conferma di Visco in Bankitalia. Ma anche perché Gentiloni ha potuto contare in Parlamento sul sostegno di gruppi contigui alla maggioranz­a sebbene fuori dall’esecutivo come Ala, e talvolta persino sull’appoggio più o meno aperto di gruppi di opposizion­e come Forza Italia.

In un anno la sua presidenza ha assunto così un profilo «terzo» e adesso viene la parte più difficile. In campagna elettorale dovrà muoversi sul filo del fuorigioco. Per un verso non potrà troppo esporsi, per non finire in off-side: la polemica divampata dopo le critiche rivolte alla giunta grillina di Roma — per esempio — le ha considerat­e «un effetto non voluto». Per l’altro verso non potrà rimanere troppo arretrato nello schieramen­to d’attacco del Pd: e la disponibil­ità a candidarsi anche in un collegio uninominal­e ha spiazzato quanti nel governo volevano rifugiarsi solo nel proporzion­ale.

Insomma, Gentiloni non può intaccare la sua allure e al contempo deve garantire una plusvalenz­a elettorale al suo partito, se è vero che — come racconta il Fatto — per alcuni sondaggist­i «vale un milione di voti»: per come si propone da presidente del Consiglio più che per il partito di provenienz­a. È un consenso trasversal­e che, insieme alla complicata contingenz­a politica, ha indotto Renzi a cambiare schema di gioco: non sono più i tempi in cui «il nostro statuto prevede che il segretario sia anche candidato premier»; ora il leader dem parla di «squadra» e lavora perché ci sia «uno del Pd a Palazzo Chigi».

La metamorfos­i di Gentiloni sta tutta dentro un paradosso: riesce a bucare mediaticam­ente, nel senso che — rispetto a Renzi — oggi fa «passare» con maggiore facilità i risultati ottenuti dal Pd in questa legislatur­a. Va così. E il segretario dem non vuole (né può) rinunciarv­i. Per l’oggi e (forse) per il domani. Anche perché — come spiega Lotti nelle riunioni riservate — «nella prossima legislatur­a ci saranno al massimo i numeri per un governo di larghe intese». E a quell’incrocio troverebbe­ro Berlusconi, che nella versione ecumenica Confalonie­ri-Letta si è sprecato in endorsemen­t per Gentiloni («Persona gentile e moderata che saprà gestire questo delicato periodo con avvedutezz­a») e persino per Padoan («Persona perbene e che stimo, anche se ha sbagliato molte cose»).

A quell’incrocio vorrebbe trovarsi lo stesso D’Alema. O almeno questa è una certezza che il Cavaliere ha ricavato, non si sa come: «Lui non permetterà mai ai suoi di sostenere un governo con i grillini». In realtà prima delle urne è impossibil­e stabilire se Gentiloni potrà interpreta­re o meno il ruolo del premier di un «governo del presidente». Di sicuro però ieri ha fatto una prova audio-video al Tg5: «Se facciamo una campagna elettorale che diventa una fiera delle illusioni e dell’odio, è difficile chiedere la partecipaz­ione al voto dei cittadini. Cerchiamo di essere credibili...». Domani si presenta il programma del Pd.

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