Cattive femministe
La scrittrice Margaret Atwood guida il fronte delle dubbiose: «Solo le donne ora hanno diritti?»
«S ono una cattiva femminista?». Non poteva essere che Margaret Atwood, la scrittrice che ha creato una delle icone letterarie più forti degli ultimi anni — Offred, vittima indomita de Il racconto dell’ancella — a dar voce al dilemma che sta assillando milioni di donne. Sono una cattiva femminista perché non voglio che la «denuncia al molestatore» diventi «caccia alle streghe»? In un editoriale su The Globe and Mail, l’autrice canadese va ben oltre l’invito al «libero corteggiamento» lanciato da Catherine Deneuve e altre 99 francesi. Si chiede cosa accadrà dopo questa catarsi di accuse: «Il movimento è sintomo di un sistema legale che si è inceppato — riconosce la 78enne e freschissima Atwood —. Troppo spesso in passato le denunce non avevano ricevuto la giusta attenzione presso le istituzioni, quindi si è trovato un nuovo strumento: Internet». Strumento potentissimo, se usato dalle star. Come ha dimostrato la campagna lanciata su Twitter dall’attrice Alyssa Milano, sull’onda del caso Weinstein, e diventata in poche ore virale, da Hollywood in giù. «Le stelle sono cadute dal cielo... Ma cosa succederà dopo?». La scrittrice di The Handmaid’s Tale non è la prima intellettuale a riflettere sulla possibile deriva del movimento anti-molestie. Già a dicembre, su The American Interest, la saggista (conservatrice) Claire Berlinski scriveva «#MeToo si è trasformato in un panico morale che rappresenta un pericolo per le donne quanto per gli uomini». E Daphne Merkin del New York
Times le ha fatto eco: «Sembriamo tornare a un paradigma vittimistico per le giovani donne, che vengono percepite — e percepiscono se stesse — come fragili casalinghe vittoriane». Che fine ha fatto la capacità di scelta e d’azione? Le ha risposto sul Guardian la poetessa statunitense Barbara Kingsolver con un articolo dal titolo: «MeToo non è sufficiente. Ora le donne devono diventare cattive» in cui racconta di aver insegnato alle sue figlie, fin da piccole, a reagire: «“Non dirmi questo, non farmi quello. Lo odio”. Le ho armate con queste parole per gestire le molestie».
L’occasione per lo sfogo della Atwood nasce dalle (pesanti) contestazioni subite dopo aver firmato una lettera aperta all’Università della British Columbia, colpevole di aver esposto al pubblico linciaggio un professore accusato di stupro, costretto a firmare un accordo di riservatezza che non gli permise di difendersi e licenziato benché poi riconosciuto innocente. Ben prima che #MeToo invadesse i social media, la discussione sulle denunce false è dilagata negli atenei. Laura Kipnis, autrice di Unwanted Advances: Sexual Paranoia Comes to
Campus, boccia senza appello la lettera di Deneuve&Co. — «incredibilmente stupida» — ma avverte: «Il dilemma è dove fissare i limiti, ognuna li colloca in punti diversi, ciò che prima era un confine chiaro ora viene ridefinito. E questo ci rende nervosi». Una confusione che divide, a quanto pare, anche la galassia per nulla omogenea del femminismo contemporaneo. Con Gloria Steinem e Jane Fonda che sottolineano come #MeToo abbia avuto successo solo perché lanciato da star bianche e la scrittrice Caitlin Flanagan che su The Atlantic denuncia «le squadre d’attacco di giovani donne bianche privilegiate» che «aprono il fuoco» su uomini come Aziz Ansara, il comico di origine indiana.
La chiusura tocca per rango alla Atwood: «Perché le donne possano godere dei diritti umani e civili è necessario che essi valgano per tutti, compreso il diritto a una giustizia giusta... Le Brave femministe credono che solo le donne dovrebbero godere di tali diritti? Sicuramente no».
La poetessa Barbara Kingsolver: «Ho armato le mie figlie, fin da piccole, con le frasi giuste e chiare per respingere le molestie»