Corriere della Sera

I messaggi odiosi contro chi soffre per un figlio

- di Candida Morvillo

C’è un pezzo d’Italia, per fortuna più piccolo del chiasso che fa, che ritiene che Elena Santarelli sia una cattiva madre perché è andata in tv, anche se suo figlio sta male «di una diagnosi che nessuna mamma vorrebbe sentire», come ha scritto lei stessa su Instagram, dopo aver ricevuto la brutta notizia il 30 novembre. Sui social, c’è chi l’ha attaccata perché l’altra sera era da Amadeus, a Stasera tutto è possibile, su Raidue: «Stai in tv, invece di stare con tuo figlio». Non era neanche vero. La showgirl ha fatto sapere che la puntata era registrata. Ha scritto: «Vi dovete vergognare. Anche se fossi andata in diretta nessuno ha il diritto di puntare il dito e sparare cattiverie, ho conosciuto mamme in ospedale che andavano a lavorare e poi tornavano dai figli». Gli haters, gli odiatori del web, i «webeti» secondo l’appropriat­a definizion­e di Enrico Mentana, odiano tutti, specie quelli ricchi, belli, di successo. Specie se donne, peggio ancora se sposate a un calciatore, come Elena, coniugata con Bernardo Corradi. Odiano anche una madre che teme per la vita di un figlio. Non si sa di preciso che cos’abbia Giacomo, si sa che Santarelli ha indicato dei link per fare donazioni a istituti che si occupano di tumori infantili. Ma agli haters non importa che ogni anno, in Italia, 2.100 bambini si ammalino di cancro né che migliaia di genitori, in questo stesso momento, stiano lottando per la vita dei figli e insieme per tenersi il lavoro, nonostante le giornate passate in ospedale, le nottate passate con gli occhi sbarrati. Gli odiatori di profession­e colpiscono una persona e ne feriscono migliaia. La loro barbarie fa più rumore dei tanti messaggi di solidariet­à che pure sono arrivati ai coniugi Corradi, ma non per questo bisogna minimizzar­e anche un singolo post di odio. Non possiamo permetterc­i l’assuefazio­ne e che la cattiveria gratuita passi per essere un fatto della vita. Chi odia dovrebbe leggere un tema scritto da una bimba curata e guarita all’Istituto dei tumori di Milano. C’è un punto in cui dice: «In tutte le stanze dell’ospedale, i genitori stringono forte i figli... Il destino del loro bambino non è più nelle loro mani, i capelli dei padri s’imbiancano all’improvviso, come se un fantasma fosse balenato proprio davanti ai loro occhi, e gli occhi e le guance delle madri sono rosse e segnate da piccole lacrime leggere che scendono giù soltanto quando sono sole, perché la lenta, possibile, morte del tuo bambino è sempre un segreto». E nessuno può concedersi di infierire su una madre che piange senza farsi vedere.

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