Corriere della Sera

Cappato: nella mia mail una richiesta al giorno per morire con dignità

- di Alessandra Arachi

ROMA Marco Cappato, come mai non si è candidato alle elezioni?

«Per il processo che ho in corso».

Non poteva candidarsi?

«Non mi sono informato se potevo o no. Ho ritenuto opportuno non farlo. Non è un processo di disobbedie­nza civile sulle droghe. Qui c’è di mezzo la morte di una persona. Mi impegnerò comunque nella campagna elettorale per la lista “+Europa” di Emma Bonino».

Il processo di cui parla è quello per il suicidio assistito in Svizzera di Dj Fabo. Mercoledì la requisitor­ia del pm è stata molto favorevole a lei...

«Aspettiamo la sentenza, non è soltanto una questione di assoluzion­e. Vediamo se la sentenza accoglie la ragione costituzio­nale posta dal pm. Sarebbe molto importante per l’Italia».

E lei che ragioni ha avuto nell’aiutare Dj Fabo a morire?

«Le ragioni che ho ad occuparmi ogni giorno di gente che desidera morire».

Ogni giorno?

«Negli ultimi due anni, da quando ho pubblicizz­ato la mia disobbedie­nza civile, ogni giorno ho ricevuto almeno una mail da persone che mi chiedono come possono morire con dignità».

Praticamen­te un lavoro?

«Il mio impegno come leader dell’Associazio­ne Luca Coscioni». Che è cominciato quando?

«La prima persona che ho aiutato a morire è stato Piero Welby, nel 2006. Lui voleva l’eutanasia, noi l’abbiamo convinto a percorrere la via del diritto».

E della morte di Michele Gesualdi, cosa pensa?

«Il suo intervento sul biotestame­nto è stato molto importante per smontare quella finta contrappos­izione tra laici e cattolici sul fine vita che a qualcuno piace poter coltiva- re».

Diceva che Welby invece avrebbe voluto l’eutanasia...

«A casa di Welby erano pronti due medici del Belgio con una pozione eutanasica. E avremmo seguito le leggi del Belgio a casa Welby se Mario Riccio non fosse riuscito a trovargli la vena per la sedazione profonda. Le sue vene erano tutte sfilacciat­e. Ce lo aveva chiesto Piero, che era deciso. E non solo».

Cos’altro?

«Piero Welby era molto ironico. Avevo un senso dell’umorismo spiccato, che ho ritrovato sempre nelle persone che ho accompagna­to in una morte dignitosa».

Ironia? Umorismo?

«Sì. Il giorno che gli è stata fatta la sedazione profonda, Piero Welby mi ha detto: “Sono un po’ nervoso oggi, è la prima volta che muoio”. Non è stato l’unico».

Che vuol dire che non è stato l’unico?

«Beh, c’è anche Walter Piludu, il suo caso è famoso perché sono stati i giudici ad imporre alla Asl di sospenderg­li le terapie. Era allettato, ma quando l’ho chiamato per

Il caso Dj Fabo Sarebbe importanti­ssimo se la sentenza accogliess­e la ragione costituzio­nale posta dal pm

chiedergli se avessi potuto fargli visita, lui mi ha risposto: “Guarda Marco a parte il tennis e una partitina a golf...”».

Anche Dj Fabo è stato ironico fino all’ultimo?

«Beh, sì. Era programmat­o che sarebbe morto dopo una mezz’oretta, e si stava mangiando uno yogurt. Mi ha detto: “Ehi Marco questo yogurt svizzero è proprio buono, se non muoio me lo porto a Milano”».

Ma perché quest’ironia?

«Credo derivi da una consapevol­ezza e da una determinaz­ione piena. Per me è diventata un criterio per decidere se aiutare le persone».

Un criterio?

«Sì, quando mi cercano persone particolar­mente afflitte che vogliono morire perché sono sole e disperate, io consiglio di rivolgersi a uno psichiatra. Non mi do da fare per una morte dignitosa. Ecco a cosa servirebbe la legalizzaz­ione dell’eutanasia».

A cosa?

«A prevenire tanti suicidi come quelli che ho appena descritto, di malati terminali o di depressi».

 ?? (Fotogramma) ?? Stretta di mano Marco Cappato, 46 anni, e la pm Tiziana Siciliano, che ha chiesto l’assoluzion­e dell’esponente radicale al processo per la morte di Dj Fabo
(Fotogramma) Stretta di mano Marco Cappato, 46 anni, e la pm Tiziana Siciliano, che ha chiesto l’assoluzion­e dell’esponente radicale al processo per la morte di Dj Fabo

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