Cappato: nella mia mail una richiesta al giorno per morire con dignità
ROMA Marco Cappato, come mai non si è candidato alle elezioni?
«Per il processo che ho in corso».
Non poteva candidarsi?
«Non mi sono informato se potevo o no. Ho ritenuto opportuno non farlo. Non è un processo di disobbedienza civile sulle droghe. Qui c’è di mezzo la morte di una persona. Mi impegnerò comunque nella campagna elettorale per la lista “+Europa” di Emma Bonino».
Il processo di cui parla è quello per il suicidio assistito in Svizzera di Dj Fabo. Mercoledì la requisitoria del pm è stata molto favorevole a lei...
«Aspettiamo la sentenza, non è soltanto una questione di assoluzione. Vediamo se la sentenza accoglie la ragione costituzionale posta dal pm. Sarebbe molto importante per l’Italia».
E lei che ragioni ha avuto nell’aiutare Dj Fabo a morire?
«Le ragioni che ho ad occuparmi ogni giorno di gente che desidera morire».
Ogni giorno?
«Negli ultimi due anni, da quando ho pubblicizzato la mia disobbedienza civile, ogni giorno ho ricevuto almeno una mail da persone che mi chiedono come possono morire con dignità».
Praticamente un lavoro?
«Il mio impegno come leader dell’Associazione Luca Coscioni». Che è cominciato quando?
«La prima persona che ho aiutato a morire è stato Piero Welby, nel 2006. Lui voleva l’eutanasia, noi l’abbiamo convinto a percorrere la via del diritto».
E della morte di Michele Gesualdi, cosa pensa?
«Il suo intervento sul biotestamento è stato molto importante per smontare quella finta contrapposizione tra laici e cattolici sul fine vita che a qualcuno piace poter coltiva- re».
Diceva che Welby invece avrebbe voluto l’eutanasia...
«A casa di Welby erano pronti due medici del Belgio con una pozione eutanasica. E avremmo seguito le leggi del Belgio a casa Welby se Mario Riccio non fosse riuscito a trovargli la vena per la sedazione profonda. Le sue vene erano tutte sfilacciate. Ce lo aveva chiesto Piero, che era deciso. E non solo».
Cos’altro?
«Piero Welby era molto ironico. Avevo un senso dell’umorismo spiccato, che ho ritrovato sempre nelle persone che ho accompagnato in una morte dignitosa».
Ironia? Umorismo?
«Sì. Il giorno che gli è stata fatta la sedazione profonda, Piero Welby mi ha detto: “Sono un po’ nervoso oggi, è la prima volta che muoio”. Non è stato l’unico».
Che vuol dire che non è stato l’unico?
«Beh, c’è anche Walter Piludu, il suo caso è famoso perché sono stati i giudici ad imporre alla Asl di sospendergli le terapie. Era allettato, ma quando l’ho chiamato per
Il caso Dj Fabo Sarebbe importantissimo se la sentenza accogliesse la ragione costituzionale posta dal pm
chiedergli se avessi potuto fargli visita, lui mi ha risposto: “Guarda Marco a parte il tennis e una partitina a golf...”».
Anche Dj Fabo è stato ironico fino all’ultimo?
«Beh, sì. Era programmato che sarebbe morto dopo una mezz’oretta, e si stava mangiando uno yogurt. Mi ha detto: “Ehi Marco questo yogurt svizzero è proprio buono, se non muoio me lo porto a Milano”».
Ma perché quest’ironia?
«Credo derivi da una consapevolezza e da una determinazione piena. Per me è diventata un criterio per decidere se aiutare le persone».
Un criterio?
«Sì, quando mi cercano persone particolarmente afflitte che vogliono morire perché sono sole e disperate, io consiglio di rivolgersi a uno psichiatra. Non mi do da fare per una morte dignitosa. Ecco a cosa servirebbe la legalizzazione dell’eutanasia».
A cosa?
«A prevenire tanti suicidi come quelli che ho appena descritto, di malati terminali o di depressi».