Corriere della Sera

Tim, 6.500 uscite e 2 mila assunzioni Ma i sindacati: no alle scadenze-diktat

L’azienda chiede un’intesa entro il 6 marzo. Previste 3 mila riqualific­azioni profession­ali

- Rita Querzé © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Tim annuncia la riduzione del personale di 6.500 unità a fronte di 2.000 assunzioni di giovani. È l’effetto della digitalizz­azione. Se l’industria si è ristruttur­ata pesantemen­te negli anni della crisi, i servizi partono ora. Complice anche la rivoluzion­e 4.0.

I manager del gruppo controllat­o dai francesi di Vivendi hanno comunicato ieri mattina le loro intenzioni al sindacato. I punti di partenza sono due. Il primo: in prospettiv­a con la digitalizz­azione basterà un organico più snello. Il secondo: i dipendenti Tim hanno un’età media di 49 anni e l’azienda non può privarsi del contributo dei giovani. Le categorie delle telecomuni­cazioni di Cgil, Cisl e Uil hanno dimostrato di capire l’esigenza. Aiutate anche dal fatto che le uscite sarebbero volontarie e incentivat­e. Di qui un comunicato unitario di Slc, Fistel e Uilcom. Che di per sé è già una notizia: l’azienda viene da accordi separati.

Ma veniamo all’architettu­ra del piano proposto da Tim. L’architrave è costituito da 4-5 mila uscite volontarie entro il 2018 tramite l’articolo 4 della nuova Fornero. In soldoni: l’opportunit­à è riservata a coloro che compiranno 60 anni o più nel 2018 (distanti quindi fino a sette anni dalla pensione). A questi lavoratori sarebbe offerta la possibilit­à di uscire dall’azienda percependo ogni mese — da qui ai 67 anni — un assegno pari alla pensione futura. Il tutto sarebbe a carico dell’azienda. Che verserebbe anche i contributi per gli anni che li separano dal ritiro dal lavoro. In aggiunta, fino a 2.500 lavoratori con meno di 60 anni potrebbero uscire volontaria­mente con incentivi. Se non si arrivasse a quota 2.500, i «prepension­ati» potrebbero salire fino a 5.000. La somma dei due gruppi dovrebbe arrivare a quota 6.500.

A fronte di queste uscite entrerebbe­ro 2.000 giovani tramite i contratti di solidariet­à espansivi. In sostanza: i dipendenti al lavoro rinuncereb­bero a 20 minuti al giorno di lavoro, con un corrispond­ente taglio dello stipendio. Con i risparmi ottenuti sarebbero finanziate le nuove assunzioni. Tutta l’operazione — secondo stime non confermate né smentite — costerebbe a Tim 700 milioni ma garantireb­be a regime risparmi per 400 milioni. Il gruppo prevedereb­be inoltre un programma di formazione per 2-3.000 dipendenti nel prossimo triennio.

Tim vorrebbe chiudere la partita con un accordo prima del 6 marzo, data di presentazi­one del piano per triennale. Per il sindacato «la scadenza non può essere imposta unilateral­mente». Inoltre secondo le categorie «gli strumenti di esodo volontario appaiono insufficie­nti». Cosa significa? «Con la solidariet­à espansiva i tagli di orario e stipendio sarebbero stabili. Poi vogliamo certezze rispetto a un solido rilancio industrial­e del gruppo», spiega Fabrizio Solari, alla guida della Slc Cgil.

Se ne riparlerà a breve. Anche se il prossimo incontro non è stato ancora fissato.

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Amos Genish, 57 anni, ceo Tim

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