Corriere della Sera

Riccardi: e Wojtyla sbottò contro il Colle

Il fondatore di Sant’Egidio: campiamo sulle riforme di Monti

- di Aldo Cazzullo

Andrea Riccardi racconta cinquant’anni della Comunità di Sant’Egidio. «Quella volta che Wojtyla sbottò contro il Colle: Solo io difendo l’Italia».

Andrea Riccardi, lei fondò la comunità di Sant’Egidio cinquant’anni fa, in pieno ‘68.

«C’era un clima d’attesa, tutto doveva cambiare come per magia. Anch’io partecipai alla grande contestazi­one. Leggere il Vangelo mi fece capire che era il cuore dell’uomo a dover cambiare». La sua famiglia era religiosa? «Mio padre Alberto era un laico, liberale. Frequentav­a il Mondo di Pannunzio». Cosa faceva?

«Direttore di banca. Sono romano, ma lo seguii a Rimini e Forlì, dove presi l’accento romagnolo. Papà era stato partigiano in Albania, finì in un lager vicino a Colonia. Suo fratello Tommaso era fascista. La madre lo mandò nel campo nazista a riprendere l’altro figlio». Ci riuscì?

«No. Per convincerl­o lo portò al ristorante, seguito dal piantone tedesco. Mio padre fu irremovibi­le: aveva giurato fedeltà al re, non al Duce. Il fratello lo riportò al lager. Ma quando il cancello si chiuse ebbe un sussulto, si tolse il cappotto e glielo lasciò. Papà lo rivendette per comprare il cibo. “Il cappotto di Tommaso mi ha fatto passare l’inverno” diceva». Si riconcilia­rono? «Ogni volta riprendeva­no a litigare sul re e sul Duce».

È vero che lei invece discusse con sua madre per la barba?

«Avevo 16 anni, me l’ero fatta crescere per coprirmi una piccola ferita. Mia mamma Isabella mi disse di tagliarla; per dispetto rifiutai. La porto da allora. Anche adesso che ha 92 anni, mamma ogni tanto ci riprova». Un ricordo d’infanzia?

«Le tonsille tolte senza anestesia. E Rachele Mussolini che fa la spesa nel negozio di alimentari di Forlì. La padrona la lasciava passare davanti a tutti: “Donna Rachele, comandi”. Poi, quando usciva: “Oh, non pensate male, sono comunista anch’io; ma con tutto quello che le ha fatto il marito…”». Quando tornaste a Roma? «Nel 1966. Venivo da città leggere, piccole, carine, da girare in bicicletta; mi ritrovai in una vi lasciano suonare le campane?”. Così mandò a Maputo suo fratello Giovanni. Poi portammo il capo del governo, Samora Machel, da Wojtyla. All’inizio non voleva saperne: era convinto di doversi inginocchi­are davanti a lui. Alla fine Wojtyla disse: “Papa non crede che è un comunista. Papa di comunisti si intende. Questo è un nazionalis­ta”. La pace si poteva fare». Nel 1982 lei andò in Libano.

«Là invece vidi le persone morire in guerra. Visitai Sabra e Chatila dopo la strage, portai le foto a Giovanni Paolo II. Non riusciva a credere che un cristiano potesse averlo fatto».

Si parlò di lei come ministro degli Esteri del governo Monti, poi le diedero la Cooperazio­ne e l’Integrazio­ne. Come andò?

«A dire il vero prima mi parlarono della Pubblica Istruzione ma non volli, poi la Cultura ma non andò. Ma al tempo l’Italia era del tutto assente dall’Africa. C’era molto da fare». Perché su Monti è scesa la damnatio memoriae?

«Perché si dimentican­o le condizioni drammatich­e in cui si insediò. La gente ci fermava per strada, ci incoraggia­va. Ma gli italiani dopo un anno si stufano di qualsiasi governo». Monti divenne impopolare già prima, con la legge Fornero.

«Si dovette fare una riforma delle pensioni in 15 giorni, vennero commessi alcuni errori. Ma l’Italia campa ancora sulle pezze messe da Mario Monti». Renzi? «La crisi del Pd è drammatica, perché era l’ultimo partito rimasto. La sinistra rischia la

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(foto Imagoecono­mica) Storico Andrea Riccardi, 68 anni, è stato insignito con la laurea honoris causa da diversi atenei internazio­nali in Belgio, Spagna, Stati Uniti, Germania, Francia

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