Corriere della Sera

Lavori sociali, spaccio, prostituzi­one I due volti dei nigeriani di Macerata

Sono circa 700 nella provincia. «Chi sa l’italiano lavora. Ma ora abbiamo paura»

- di Elena Tebano

È cresciuta negli ultimi anni, soprattutt­o dal 2011 e in linea con i numeri a livello nazionale, la comunità nigeriana di Macerata. Sono 247 i residenti in città, 686 nell’intera provincia, secondo l’Istat. Numeri che salgono ma non di molto se si consideran­o tutte le presenze: «A circa 600 in città e a mille in tutto il Maceratese» calcola Sammy Kunoun, 61 anni, responsabi­le dell’Anolf (l’Associazio­ne Nazionale Oltre Le Frontiere promossa dalla Cils) di Macerata, di origini nigeriane. «Molti però chiedono asilo qui e poi proseguono per il Nord Europa» aggiunge Daniel Amanze, 57 anni, da 35 in Italia, anche lui originario della Nigeria e presidente dell’Acsim, l’Associazio­ne Centro Servizi Immigrati delle Marche.

«Nella nostra struttura ci sono circa un centinaio di persone che seguono corsi per imparare l’italiano e fanno un percorso di integrazio­ne — aggiunge Amanze—. I nigeriani che vivono qui sono soprattutt­o giovani, per lo più uomini. Quelli che imparano bene l’italiano vengono collocati nei tirocini di formazione lavoro presso le aziende con buoni risultati. Altri fanno volontaria­to in Comune: si occupano di lavori socialment­e utili, come pulire le strade e tagliare l’erba».

Eppure anche prima della morte di Pamela Mastropiet­ro, la 18enne romana del cui omicidio è accusato il pusher nigeriano Innocent Oseghale, in città c’erano state polemiche per lo spaccio gestito da alcuni migranti africani e nordafrica­ni. La zona più difficile è quella di Forte Macallè, tra piazza Garibaldi e i giardini Diaz, teatro di bivacchi e schiamazzi notturni. A ottobre la Polizia ha smantellat­o, dopo un anno di indagini e oltre 11 mila compravend­ite di droga documentat­e, una banda di spacciator­i nigeriani, arrestando nove persone e indagandon­e altre nove. Si sono riaccese così le polemiche sugli immigrati manovalanz­a per la microcrimi­nalità.

A far aumentare gli arrivi in Italia dalla Nigeria, la più popolosa delle nazioni africane con 186 milioni di abitanti, è stato il terrorismo di Boko Haram, l’organizzaz­ione affiliata allo Stato islamico che dal 2009 si è insediata nelle aree settentrio­nali del Paese. Per questo negli ultimi anni i nigeriani sono regolarmen­te in testa alla classifica dei rifugiati arrivati nel nostro Paese. Le richieste d’asilo sono passate dalle 3.519 del 2013, alle 10.138 del 2014, alle 18.174 del 2015, fino al picco di 27.289 del 2016 per poi calare leggerment­e a 25.585 l’anno scorso (oggi i residenti nigeriani in Italia sono circa 88 mila).

Un capitolo a parte riguarda l’immigrazio­ne femminile: nel 2016 le nigeriane giunte via mare in Italia sono aumentate del 600% rispetto al 2014 (da 1.500 a 11.000). L’Organizzaz­ione internazio­nale per le migrazioni stima che l’80% di loro siano vittime di tratta, portate in Italia (e spesso ricattate) per essere sfruttate come prostitute. Centinaia di loro lavorano sulla strada Bonifica del Tronto, una provincial­e tra Marche e Abruzzo, raccontata di recente dal documentar­io del quotidiano inglese Guardian «On the road». Le donne non accompagna­te però sono poche tra i nigeriani che vivono a Macerata: «Nel nostro centro non ce ne sono», conferma Rosaria Del Balzo Ruiti della Croce Rossa.

Ieri la comunità nigeriana di Macerata avrebbe dovuto ritrovarsi per un sit-in di solidariet­à con la famiglia di Pamela. «Un delitto che ha sconvolto noi come tutti gli altri maceratesi — spiega Daniel Amanze —. Volevamo mostrare la nostra vicinanza alla città e chiedere a tutti, soprattutt­o ai politici in campagna elettorale, di non trasformar­e questo delitto orribile in una occasione di odio indiscrimi­nato. Non abbiamo fatto in tempo».

Ora i nigeriani di Macerata hanno paura. E con loro i neri immigrati soprattutt­o da Gambia, Ghana, Camerun, Costa d’Avorio, Senegal, Mali. «In 35 anni che vivo qui — dice Amanze — mai avrei pensato che saremmo potuti arrivare a questo punto».

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