Gli imprenditori del rancore che diventa arma politica
L’Italia è squassata da un odio di bassa lega, abietto e maleodorante. Perché viene dalle viscere. Sembra caduto ogni ritegno. Come se fosse una conquista poter odiare liberamente, esternare ogni meschinità, vomitare ogni grettezza. E farlo ovunque, in privato e in pubblico: tra le pareti domestiche, sull’autobus e per strada, nei locali pubblici e nei talk show. Per non parlare del web, dove fantasie di violenza, intenzioni aggressive, commenti improntati al disprezzo si moltiplicano senza più neppure la copertura dell’anonimità.
Il fotomontaggio comparso su Facebook che mostra la testa insanguinata di Laura Boldrini, esposta al pubblico ludibrio, oltre a essere un’immagine ripugnante, è una minaccia e un insulto per tutti. L’allarme deve essere alto. Perché dalle parole ai fatti il passo è breve. Lo prova il raid compiuto da Luca Traini, un fascista qualunque, in un Paese dove i fascisti qualunque sono ben più di quanto si voglia ammettere, un razzista qualunque, che ha sparato su persone di colore gridando «Viva l’Italia».
Ma quale Italia? Non quella di molti, moltissimi cittadini che, abituati al rispetto, al confronto, al dialogo, in questi ultimi tempi provano un senso crescente di disagio e una profonda vergogna. Sarebbero invece altri a doversi vergognare ammettendo le proprie responsabilità. E sono gli imprenditori dell’odio: quelli che lo istillano quotidianamente, lo fomentano con scaltrezza, lo coltivano con una pseudoideologia che indica nell’immigrato il colpevole di ogni male. Danno l’esempio in pubblico: con il gesto discriminatorio verso il presunto «nemico», le parole di scherno e le immagini oltraggiose per chi non la pensa come loro. Mobilitano l’odio, lo convogliano, lo dirigono. Ne fanno un’arma politica — per impotenza politica —. Perché nei loro slogan rozzi non c’è che frustrazione, fanatismo, risentimento.