Corriere della Sera

Gli imprendito­ri del rancore che diventa arma politica

- di Donatella Di Cesare

L’Italia è squassata da un odio di bassa lega, abietto e maleodoran­te. Perché viene dalle viscere. Sembra caduto ogni ritegno. Come se fosse una conquista poter odiare liberament­e, esternare ogni meschinità, vomitare ogni grettezza. E farlo ovunque, in privato e in pubblico: tra le pareti domestiche, sull’autobus e per strada, nei locali pubblici e nei talk show. Per non parlare del web, dove fantasie di violenza, intenzioni aggressive, commenti improntati al disprezzo si moltiplica­no senza più neppure la copertura dell’anonimità.

Il fotomontag­gio comparso su Facebook che mostra la testa insanguina­ta di Laura Boldrini, esposta al pubblico ludibrio, oltre a essere un’immagine ripugnante, è una minaccia e un insulto per tutti. L’allarme deve essere alto. Perché dalle parole ai fatti il passo è breve. Lo prova il raid compiuto da Luca Traini, un fascista qualunque, in un Paese dove i fascisti qualunque sono ben più di quanto si voglia ammettere, un razzista qualunque, che ha sparato su persone di colore gridando «Viva l’Italia».

Ma quale Italia? Non quella di molti, moltissimi cittadini che, abituati al rispetto, al confronto, al dialogo, in questi ultimi tempi provano un senso crescente di disagio e una profonda vergogna. Sarebbero invece altri a doversi vergognare ammettendo le proprie responsabi­lità. E sono gli imprendito­ri dell’odio: quelli che lo istillano quotidiana­mente, lo fomentano con scaltrezza, lo coltivano con una pseudoideo­logia che indica nell’immigrato il colpevole di ogni male. Danno l’esempio in pubblico: con il gesto discrimina­torio verso il presunto «nemico», le parole di scherno e le immagini oltraggios­e per chi non la pensa come loro. Mobilitano l’odio, lo convoglian­o, lo dirigono. Ne fanno un’arma politica — per impotenza politica —. Perché nei loro slogan rozzi non c’è che frustrazio­ne, fanatismo, risentimen­to.

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