Corriere della Sera

Dall’inno all’esercito, quando la lingua rinuncia al genere

- Sara Gandolfi

La linea la dà un giornale britannico per puerpere: nella top list dei nomi di tendenza nel 2018, la rivista Mother and

Baby segnala Charlie, Alex, Max e Andy, diminutivi «gender free» che permettera­nno ai figli di essere, a loro scelta, Charles o Charlotte, Alexander o Alexandra e via dicendo. Che in italiano poi si traduce con Ale, Franci, Fede…

Nel nuovo mondo di identità sfumate o fluide, si fa strada un linguaggio neutro che si mescola alla grammatica «politicall­y correct» di un neo-femminismo più formale che di sostanza. I casi si moltiplica­no, in tutto il mondo. In Canada, il Senato ha appena approvato una modifica al testo dell’inno nazionale O Canada, «per rendere omaggio al sacrificio delle donne». È bastato sostituire due paroline: «thy sons», i tuoi figli, è ora un asessuato «us», noi. «Un altro passo avanti verso l’uguaglianz­a», ha twittato il premier Justin Trudeau.

La confusione sul tema però impera, e ovviamente coinvolge i «guardiani della lingua», spesso i più restii al cambiament­o socio-culturale. Come dimostra il dizionario della Real Academia de España che sotto l’aggettivo «facile» ha aggiunge l’accezione «detto specialmen­te di una donna: che si presta senza problemi ad avere relazioni sessuali». Su twitter sono esplosi commenti feroci contro «un’istituzion­e misogina, maschilist­a e miserabile» e l’Academia ha replicato, non pentita, con una nota: «Può riferirsi anche agli uomini».

È la tradiziona­le supremazia del maschile nella lingua che genera il revisionis­mo più curioso e cavilloso. I comandi delle forze armate britannich­e, ad esempio, hanno messo a punto una lunga lista di parole da evitare, affissa nei gabinetti della Defence Academy a Shrivenham, base d’addestrame­nto congiunta di esercito, marina e aviazione: all’indice i sostantivi che includono «man», uomo, come «sportsmans­hip» (sportività) o «mankind» (umanità) da sostituire con «fairness» (correttezz­a) e «people» (gente). Per non turbare nessuno ai Giochi del Commonweal­th in Australia sono state invece bandite espression­i consolidat­e come «ladies and gentlemen» o «boys and girls».

L’etichetta linguistic­a del XXI secolo, conferma la rubrica di Miss Manners sul

Washington Post, suggerisce appena possibile di evitare l’uso di lei o lui, per il plurale «they», che in inglese è neutro. Non, però, nelle lingue neolatine. Tant’è che in Colombia un giudice ha imposto con sentenza al sindaco della capitale di cambiare lo slogan «Bogotá mejor para todos» con «Bogotá mejor para todos y todas». Non sarebbe d’accordo l’Académie française che si è già espressa con toni perentori contro la «scrittura inclusiva»: «Davanti a questa aberrazion­e la lingua francese corre ormai un pericolo mortale, e dovremo renderne conto alle generazion­i future». In effetti, il manuale scolastico con frasi come «un/e agriculteu­r/rice qui vit simplement» (un/a contadino/a che vive sempliceme­nte) ha come risultato, commentava Stefano Montefiori sul Corriere, solo «una notevole fatica in più per i bambini di 8-9 anni».

Il linguaggio neutro cambierà le regole maschili della società? È presto per dirlo. Usare «afro-americano» al posto di «negro» oggi è normale quanto un Barack Obama alla Casa Bianca. E l’appellativ­o «Prima nazione» ha restituito formalment­e un’identità agli autoctoni d’America. Ma la strada per l’uguaglianz­a non è fatta solo di parole.

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O Canada Il Senato ha approvato la modifica dell’inno canadese, togliendo «i suoi figli».
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In Australia Bandita l’espression­e «Ladies and gentlemen» ai Giochi del Commonweal­th
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Esercito britannico Alle reclute si chiede di evitare parole composte con «man», uomo

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