«Così davanti alle Nazioni Unite ho parlato a nome del Vietnam»
Chiara, prima italiana premiata da Harvard al «gioco» della diplomazia
Racconta che intorno a lei c’erano ragazzi e ragazze «di cui sicuramente sentiremo parlare: meritevolissimi, intelligenti, preparati, faranno molta strada nel mondo».
Però anche lei, Chiara Bargellesi, 17 anni, italiana di Montebelluna (Treviso), un pezzo di strada da raccontare e di cui essere orgogliosa già ce l’ha. È la prima liceale italiana premiata dall’Università di Harvard con una menzione d’onore alla 65esima edizione dell’«Harvard Model United Nations», la più grande simulazione mondiale dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, alla quale ogni anno partecipano più di 3.000 studentesse e studenti da tutto il mondo. «Proprio non me l’aspettavo» sorride, soprattutto perché c’erano «centinaia di studenti americani agguerritissimi che per quella menzione farebbero qualsiasi cosa e la competizione era fortissima».
Invece, Chiara, quarto anno allo scientifico Primo Levi di Montebelluna in trasferta a Boston, non si è spaventata e ha seguito la sua testa: «Non amo mettermi in mostra, ho piuttosto pensato a lavorare bene con gli altri e a far ascoltare le mie idee». Una strategia che ha funzionato ed è piaciuta ai professori di Harvard che l’hanno chiamata sul palco, «pensare che mi ero già tolta la giacca e stavo per andare via!».
All’«Harvard Model United Nations» ogni gruppo rappresenta una nazione di cui deve portare avanti le istanze, proprio come nelle assemblee Onu. Per quattro giorni ragazzi da tutto il mondo lavorano sullo Stato affidato loro. Quello di Chiara era il Vietnam: «Paese molto piccolo, poco influente, è stato molto difficile far sentire la mia voce, allora sono partita dalla sua storia». E ha spiegato, con calma e senza strafare, «c’erano degli americani che non smettevano di parlare, ma loro sono abituati a queste simulazioni, le hanno nei corsi di scuola».
In Italia no. Ma la 17enne lo scorso maggio aveva partecipato allo YounG7, il primo G7 dei giovani promosso a Catania dal ministero dell’Istruzione durante quello dei «grandi»: 150 studenti da tutta Italia insieme a parlare di politica, economia, futuro. «Esperienza importantissima — dice Chiara —: ci è servita per metterci in contatto e sentire che noi ragazzi possiamo davvero cambiare le cose». Il Miur poi l’ha scelta per andare a Boston. Ma il YounG7 le è servito per ideare, con altri vincitori di competizioni del Miur, «WaYouth», una community che gira le scuole d’Italia per fare da mentor ad altri studenti: «Crediamo nella forza del cambiamento».
Nel frattempo, Chiara da cinque mesi vive e studia negli Stati Uniti per un periodo fino a giugno. Lo sognava da anni: «Volevo confrontarmi con mondi e culture diversi dal mio». È finita a Suffolk, in Virginia, costa ovest degli Usa, in una fattoria di una famiglia di mormoni, dove la mattina prima di andare a scuola si prende cura degli animali. Studia matematica, arte e governo. «A volte è difficile stare lontano da casa — dice —, ma sto vivendo esperienze che mi hanno migliorato e arricchito. Se tornerò in Italia? Non ne sono più così sicura... ma la mia strada è solo all’inizio».
È stato entusiasmante sostenere la causa di un Paese piccolo come il Vietnam: per fare sentire la mia voce, ho scelto di partire dalla sua storia