L’EURO DEVE RITROVARE LA SUA MOTIVAZIONE POLITICA
La proposta franco-tedesca non risponde all’interesse italiano ed europeo. Dopo il voto bisognerà parlare. E coordinarsi con Parigi aiuterebbe
I l motore franco-tedesco andrà presto a pieni giri, e i meccanici lavorano all’assetto sghembo dell’Eurozona: si vedano le proposte di alcuni influenti economisti franco-tedeschi e quella di tre membri della Luiss-European School of Political Economy, Carlo Bastasin, Marcello Messori e Gianni Toniolo. Lo European Systemic Risk Board (Esrb) propone infine un titolo europeo sicuro. Sotto la vernice tecnica, il prodotto è politico, ma tranne eroici casi, per i nostri partiti (e Movimenti) il tema è inadatto a elettori incapacitati. Il futuro dell’eurozona, però, tocca noi quanto tedeschi e francesi.
Nonostante l’europeismo di Emmanuel Macron, la Francia s’accoda ancora al dominante «Credo» tedesco, alle idee dell’ex Finanzminister Wolfgang Schäuble, cui la proposta franco-tedesca resta legata: nessun passo verso l’integrazione, se prima i rischi finanziari non saranno drasticamente ridotti. Solo dopo ci potrà essere la loro condivisione. È la legge del più forte, ma non della ragione. Chi e quando decreterà che i rischi sono ridotti e si può partire? Nessuno, e mai. Il rischio è ovunque, ineliminabile. Oltre a quello dei nostri crediti dubbi, c’è anche quello dei titoli — più invalutabili che complessi — delle banche francesi e tedesche, i famosi Level 3; ne sorregge il valore la politica monetaria della Bce, deprecata perché riduce il costo del debito, tedesco come italiano.
L’idea che la crisi dell’Euro nasca dal debito pubblico eccessivo ignora la causa ultima; il default greco (duramente pagato anche dall’Italia, per rimborsare le imprudenti banche, guarda caso, francesi e tedesche) è stato solo la causa scatenante. Esso ha svelato il problema vero; nei 10 anni decorsi dal varo, la volontà unitaria alla base dell’euro s’è sgretolata. Dobbiamo sgonfiare da soli, gradualmente e senza scaricarlo su altri, un debito pubblico abnorme che però non è il colpevole;
Vecchie idee Evitare passi verso l’integrazione prima di ridurre i rischi finanziari è la legge del più forte
lo è invece la constatazione, ovvia dopo la crisi greca, che ognuno dovrà fare da sé. Naturale che i lupi del mercato attacchino la pecora più debole, specie se è la politica ad additarla, con proposte à la Schäuble. Svanita, come un miraggio, l’idea che l’eurozona sia un progetto politico, essa appare ora una pura area monetaria; senza il mantello politico, rivela la sua nuda disomogeneità.
La proposta franco-tedesca (www.voxeu.org) non risponde all’interesse italiano ed europeo, ma il tema resta chiave. Finito il mesto carne- vale elettorale, l’Italia dovrà parlare, senza aspettare il previo gradimento tedesco; coordinarsi con la «nuova Francia» aiuterebbe. Sono utili le idee dei tre docenti Luiss e dell’Esrb. I primi, per ridurre i timori sul rischio italiano, mirano a un rapporto debito/Pil del 90%, in un percorso di 12 anni concordato col rinnovato European Stability Mechanism (Esm). Il focus è sul debito (anziché sul deficit) per coinvolgere l’opposizione; alla presidenza di un apposito organo parlamentare, essa non avallerebbe deviazioni, per non dovervi rimediare una volta al potere. Gli scostamenti fra le astruse regole su debito e deficit annuo sarebbero finanziati dall’Esm acquistando quote di un fondo patrimoniale; l’Italia le riacquisterebbe quando il debito sarà sotto il 90% del Pil. Ciò garantirebbe credibilità e irreversibilità del percorso (www.sep.luiss. it).
Il Safe Asset (www.esrb. europa.eu) impacchetterebbe, facendolo a fette, i debiti degli Stati, in ragione del Prodotto lordo di ognuno, con due obiettivi: creare un titolo scambiabile su un vasto e liquidissimo mercato, espressione di tutta l’eurozona, e ridurre il rischio per gli Stati «deboli». Ciò non costerebbe nulla ai «forti», né mutualizzerebbe i debiti; darebbe però un forte segnale della ripresa del processo politico, senza cui l’euro svanisce.Prima o poi cadranno le resistenze tedesche all’allargamento del mercato unico Ue al campo dei servizi a rete. Ciò avverrà quando la Germania sarà pronta a proteggere il proprio mercato e soprattutto ad aggredire quello dei grandi concorrenti; se la Francia non s’aprirà, più facile attaccare l’Italia. Si torna alla politica. L’insistenza sulla riduzione dei rischi faciliterebbe la campagna di acquisti da (e di vendite a) un Paese infiacchito; Graecia capta docet. Alla fine della corsa a ridurre i rischi giungeremmo stremati, a vantaggio di chi ne sarà rafforzato. Le nostre promesse potranno essere smentite da governi successivi? Vero, per noi come per la Germania (certo non sempre fedele alla parola data); tali inaccettabili discriminazioni rinfocolano pregiudizi nazionalistici.
Nella Ue, intanto, si consolidano regimi politici illiberali nei 4 di Visegrad, Paesi-fabbrica che cedono, a 10 euro/ ora, lavoro che le imprese tedesche, grazie ai propri ingegneri, rivendono a 50. Pare sia meglio non disturbarli; si lascia in pace anche l’elusione, quando non l’evasione, a danno di chi non vuole imitare Olanda, Lussemburgo, Inghilterra e Austria facendosi paradiso fiscale (Federico Fubini, Corriere, 30 gennaio). Il tempo si fa breve. Se l’euro non ritrova presto la sua nobile motivazione politica fondante, avrà avuto ragione chi, da almeno un quarto di secolo ne profetizza l’inevitabile fine, non avendo creduto alla sua dimensione politica; e torto noi, che ci abbiamo creduto.