«Michele, ucciso dai troppi no che ha ricevuto»
Il 31 gennaio è stato il primo anniversario della morte del mio unico figlio, Michele, e ne scrivo, con il cuore straziato, per ricordare che il gesto estremo che ha compiuto è stato il suo modo di esprimere una disperata dichiarazione di rivolta contro un sistema economico che rifiuta di dare ai suoi figli più giovani ciò che è loro dovuto: un lavoro innanzitutto, per sperare nel futuro, rispetto e ruolo sociale, dignità e cittadinanza attiva. Questo chiedeva mio figlio per sé. Scriveva mio figlio nella sua lettera di commiato: «Sono stufo di fare sforzi senza ottenere risultati, stufo di critiche, stufo di colloqui di lavoro inutili, stufo di chiedermi cosa si prova a vincere, stufo di far buon viso a pessima sorte». «Di no come risposta non si vive, di no come risposta si muore». E dopo un anno, sono furioso per il lutto impossibile da sopportare, perché oggi più che mai si riapre una ferita che il tempo non cicatrizza e sono così stanco di essere stanco. Ringraziamo chi, in questo anno terribile, ha dato sostegno e partecipazione: gli amici e le amiche di Michele, che lo hanno raccontato anche in aspetti che non conoscevo, i tanti sconosciuti che, lasciando sulla sua tomba lettere, biglietti, messaggi, fiori, hanno dimostrato comprensione e affetto. Grazie a chi ha manifestato vicinanza e a chi ha recato conforto, Michele è ancora vivo.