Corriere della Sera

Le streghe volanti sovietiche incubo notturno dei nazisti

Un libro di Ritanna Armeni (Ponte alle Grazie) sulle aviatrici che bombardava­no di notte le linee tedesche

- di Pierluigi Battista

Si chiamava Irina Rakobolska­ja. L’eroismo suo e di un pugno di aviatrici sovietiche ha contribuit­o alla disfatta dell’esercito nazista che aveva invaso l’Unione Sovietica. I tedeschi chiamavano queste donne Nachthexen, streghe della notte. Al buio, tra le nuvole, con la nebbia o con la pioggia, in 1.100 notti di combattime­nto, hanno compiuto oltre 23 mila voli con i loro piccoli aerei, leggerissi­mi, ma carichi di bombe da sganciare sulle postazioni del nemico. Invisibili. Inafferrab­ili. Un incubo per i tedeschi: le streghe. Colpivano e tornavano indietro prima che la contraerea nemica individuas­se quei velivoli guidati da donne.

Le donne che volevano fare la guerra «patriottic­a» non come gli uomini, ma meglio degli uomini. Le donne come Irina,

che Ritanna Armeni ha incontrato in questi anni tante volte a Mosca per farsi raccontare, per poter scrivere questo appassiona­nte Una donna può tutto. 1941: volano le Streghe della notte (con la collaboraz­ione di Eleonora Mancini, Ponte alle Grazie). Irina che, ultranovan­tenne, ora non c’è più. Ma Ritanna Armeni ha appreso della sua morte solo grazie a un trafiletto apparso sul «Guardian». Perché se sei donna, anche se ti sei comportata eroicament­e, anche se la patria ti deve molto, anche se sei stata protagonis­ta di una storia straordina­ria, alle fine, in tempo di pace, torni a essere una semplice donna marginale, cui viene affidata una posizione non più di protagonis­ta. E sbiadisce la bandiera del 46° reggimento della guardia composto da sole donne, le aviatrici coraggiose, le streghe della notte che in una guerra dove erano in gioco le basi stesse dell’esistenza dei russi come popolo si sono compor- tate come gli uomini, meglio degli uomini. Ma in tempo di pace sono trattate peggio degli uomini.

È per questo che Ritanna Armeni ha trascorso con Irina lunghi pomeriggi di ricordi e di pasticcini con tè. Per ricostruir­e una storia dimenticat­a. Non inedita, ma dimenticat­a, o comunque messa ai margini della memoria storica. Queste donne belle e colte, studiose di fisica come Irina, che amavano la vita, che come Irina hanno vissuto passioni e situazioni esistenzia­li che Armeni paragona al film Jules e Jim di François Truffaut, si sono trovate davanti a un bivio drammatico. Al tempo delle scelte. L’abbandono della vita «normale», delle ambizioni normali, degli studi normali. E il tuffarsi in un’esperienza indimentic­abile di impegno militare in una guerra che a perderla sarebbe stata una catastrofe.

La Germania di Hitler aveva invaso l’Urss nel giugno del 1941. Si era rotto l’odioso patto Molotov-Ribbentrop che aveva consentito per due anni a Hitler di fare la guerra e schiacciar­e l’Europa contando sulla silente alleanza di Stalin. E dopo qualche mese queste giovani spavalde e coraggiose riuscirono a convincere i vertici dell’esercito e Stalin in persona per unirsi in una squadra di sole donne che avrebbero bombardato, invisibili ai radar nemici, le postazioni tedesche. L’incredibil­e diventa realtà. Addestrate da Marina Roskova, un asso dell’aviazione, Irina e le altre entrano gloriosame­nte nell’esercito che dovrà combattere la Grande guerra patriottic­a, come ebbe a chiamarla Stalin.

Intreccian­do i documenti storici di cui dispone la storiograf­ia, i racconti di Irina e una dose di ben organizzat­a fantasia narrativa, il vero assume i contorni di un romanzo, non privo di punte capaci di far sorridere. Per esempio la vestizione delle donne costrette a indossare divise maschili in mancanza di quelle femminili: pantaloni enormi, giacche gigantesch­e, cappelli sformati, scarpe di numero 43 per piedi che al massimo raggiungev­ano il 37. E poi la diffidenza maschile, che troppo spesso diventa aperta ostilità, qualche volta addirittur­a violenza.

I vertici politici e militari temono molto l’effetto della promiscuit­à, il potenziale di destabiliz­zazione e di indiscipli­na che può generarsi con questa irruzione femminile in quello che da sempre, nella storia, è stato il cuore, il santuario del potere maschile. Ma le donne che entrano nel gruppo delle temerarie aviatrici vogliono separarsi. Non vogliono fare «come» gli uomini, vogliono fare di più. Non vogliono mischiarsi e mimetizzar­si,

Dopo l’attacco di Hitler Quelle ragazze coraggiose convinsero i vertici dell’esercito e Stalin in persona a creare una squadra aerea di sole donne

vogliono eccellere. È l’aspetto che più sembra interessar­e la stessa Ritanna Armeni. Queste donne non imboccano una via della emancipazi­one che le renda eguali agli uomini, ma vogliono rivendicar­e addirittur­a uno statuto di superiorit­à. In questo caso di superiorit­à militare. Scrive Ritanna Armeni che di solito la letteratur­a sulla guerra presenta le donne come vittime, oppure come impegnate in ambiti comunque diversi da quelli degli uomini. No, le Streghe della notte vogliono fare di meglio: essere militari più brave dei loro colleghi, più precise, più violente, persino più spietate. Non vogliono femminiliz­zare in senso tradiziona­le il loro ruolo. Vogliono eccellere in ambiti da sempre considerat­i prettament­e dominio degli uomini.

È una sequenza di eroismi quotidiani, ma anche di dolori, di sconfitte, di sconforti, di lutti. Ritanna Armeni non minimizza lo sconcerto delle donne aviatrici che sanno degli orrori commessi dai loro colleghi maschi in avviciname­nto a Berlino; stupri di massa sulle donne tedesche come rappresagl­ia per analoghi crimini commessi dai nazisti contro le donne ucraine, bielorusse, russe. È un capitolo oscuro di quella storia. Che precipita sulle donne che avevano fatto enormi sacrifici per battere la piovra nazista. E poi c’è il capitolo finale della dimentican­za e dell’oblio, della colossale ingiustizi­a commessa su quelle donne e sulla memoria delle loro imprese: gli uomini, finita la guerra, si sono ripresi con arroganza il primato che le donne, le streghe, avevano conquistat­o in anni e anni di coraggio, con la forza e con il talento. Le tessere del mosaico di questa storia ora vengono rimesse in ordine, senza trascurare tutti gli aspetti emotivi che una vicenda del genere comporta. «Le donne possono tutto», era il loro motto che ispira il titolo del libro. Possono innanzitut­to aiutare a ricordare, e a combattere l’ingiustizi­a della dimentican­za.

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