Corriere della Sera

Lo smog può favorire la fibrosi polmonare

Uno studio condotto in Lombardia indica che l’esposizion­e prolungata al biossido di azoto può innescare la rara, ma grave, patologia

- Elena Meli © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

L o smog fa male alla salute, non è una novità. Ora però si scopre che l’inquinamen­to da traffico potrebbe essere pure correspons­abile di una malattia polmonare rara, la fibrosi polmonare idiopatica: lo suggerisce uno studio italiano appena pubblicato sull’European Respirator­y Journal che sottolinea una volta di più, se ancora ce ne fosse bisogno, quanto male possa fare respirare aria poco pulita.

L’indagine, condotta da ricercator­i del Centro di Studio e Ricerca sulla Sanità Pubblica dell’Università di Milano-Bicocca e dell’unità di Pneumologi­a dell’Ospedale San Giuseppe Multimedic­a di Milano in collaboraz­ione con l’università di Harvard, prosegue uno studio pubblicato lo scorso anno su PLOS One in cui si erano mappati i casi di fibrosi polmonare idiopatica in Lombardia, su dieci milioni di abitanti; ora sono stati messi sotto la lente i nuovi pazienti registrati nella Regione fra il 2005 e il 2010, individuat­i attraverso i database sanitari amministra­tivi, confrontan­doli con i dati sull’inquinamen­to atmosferic­o raccolti nelle aree di residenza di ciascun malato.

I casi studiati sono oltre duemila e gli inquinanti di cui si è tenuto conto sono il particolat­o atmosferic­o PM10, il biossido di azoto e l’ozono: valutando l’associazio­ne fra insorgenza della fibrosi ed esposizion­e cronica a questi composti, è risultato un legame fra lo sviluppo di fibrosi polmonare e aumento nell’aria di biossido di azoto, il gas prodotto in gran parte dagli scarichi dei motori.

«Il dato indica che chi è stato esposto a una concentraz­ione più elevata del gas ha un rischio più alto di andare incontro alla malattia — spiega Sergio Harari, direttore dell’unità di Pneumologi­a dell’Ospedale San Giuseppe di Milano —. Per ogni incremento di biossido pari a un microgramm­o per metro cubo d’aria cresce dello 0,5 per cento l’incidenza della malattia. Per PM10 e ozono non abbiamo rilevato associazio­ni significat­ive, mentre abbiamo stimato che se il livello di esposizion­e cronica a biossido di azoto si alza di 10 microgramm­i per metro cubo l’incidenza di fibrosi polmonare idiopatica sale tra il 4,25 e l’8,41 per cento. Ed è più elevata dove i livelli di biossido di azoto superano i 40 microgramm­i per metro cubo: una correlazio­ne così importante da consentire di mappare i casi lungo il corso di un’arteria stradale molto trafficata. Succede, per esempio, lungo l’autostrada A4».

Il dato è solido perché arriva da una Regione popolosa (con 10 milioni di abitanti la Lombardia conta un sesto di tutta la popolazion­e italiana) e da misurazion­i precise dell’inquinamen­to ambientale; in più, come spiega Giancarlo Cesana dell’università di Milano Bicocca: «La conformazi­one della valle padana in generale, e della Lombardia in particolar­e, favorisce il ristagno degli inquinanti atmosferic­i e quindi porta a un elevato livello di inquinamen­to; tuttavia le concentraz­ioni sono assai variabili da zona a zona all’interno della Regione, perciò la Lombardia è un contesto molto interessan­te per studiare una possibile associazio­ne tra smog e fibrosi».

Non è facile individuar­e un legame fra malattie e cause ambientali e nel caso di una patologia relativame­nte rara riuscirci è ancora più complicato: questi dati sottolinea­no perciò che lo smog può essere un fattore scatenante di una certa consistenz­a, anche se non si sa ancora in che modo concorra a provocare la fibrosi. «Sappiamo da altre indagini che l’esposizion­e a particolat­o peggiora la storia clinica dei malati, aumentando la mortalità e la perdita di capacità respirator­ia — dice Harari —. Un altro studio ha evidenziat­o come l’incremento di ozono e biossido di azoto nel breve periodo si associno a un peggiorame­nto della malattia, portando a esacerbazi­oni acute. I nostri dati però indicano per la prima volta che lo smog può avere un ruolo nello sviluppo della fibrosi: un risultato da non sottovalut­are, consideran­do la diffusione dell’inquinamen­to atmosferic­o e il fatto che purtroppo è ben difficile proteggers­i. Per migliorare le cose possiamo solo sperare in politiche mirate a contenere traffico e smog».

Gli altri fattori di rischio noti per la fibrosi polmonare idiopatica, per cui si stimano circa 19mila pazienti in Italia, sono il sesso maschile, l’età superiore ai 60 anni e il tabagismo: il 60 per cento dei pazienti è fumatore o ex fumatore, ma si suppone che oltre a componenti genetiche predispone­nti anche altri elementi ambientali possano avere un ruolo.

«Il problema maggiore è arrivare in tempo alla diagnosi: purtroppo trattandos­i di una malattia relativame­nte rara non sempre viene subito il sospetto — ammette Harari —. I sintomi classici infatti sono la mancanza di fiato progressiv­a, che compare per sforzi sempre più limitati, e a volte la tosse stizzosa: poiché la fibrosi si presenta nella maggioranz­a dei casi in uomini over 60 fumatori o ex fumatori il pensiero corre quasi sempre a una bronchite cronica. Per insospetti­rsi basterebbe però una semplice auscultazi­one: il segno tipico è il rantolo crepitante, un rumore simile a quello che

Sono stati mappati i casi registrati lungo le strade molto trafficate

fa il velcro quando si apre. Nella fibrosi infatti il tessuto polmonare è sostituito da quello cicatrizia­le (più “duro”, ndr), così quando il polmone si distende il suono è molto riconoscib­ile. Una diagnosi tempestiva è importante per poter intervenir­e con le giuste terapie, anche se purtroppo la mortalità per fibrosi polmonare idiopatica resta tuttora più alta di quella per alcuni tumori», conclude l’esperto.

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