Corriere della Sera

ITALIANI ANDREA RICCARDI

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megalopoli che aveva angoli da Terzo Mondo. Con i miei amici andammo nel quartiere di Ponte Marconi, al cinodromo, dove gli uomini vivevano davvero come cani. La prima scuola della pace nacque tra le baracche. Leggevamo il Vangelo, e insegnavam­o a leggere ai bambini che non erano mai andati a scuola». C’era già Comunione e Liberazion­e. «Che però si collocò contro il ‘68. Noi nascemmo dentro il ‘68». Ha conosciuto don Giussani?

«Certo. Ricordo negli anni Ottanta una sua discussion­e con il capo dell’Azione Cattolica Monticone e il cardinal Martini che voleva incontrarl­o a Sant’Egidio riservatam­ente. Giussani era sanguigno, interruppe Monticone con il suo bell’accento lombardo: “Come dice San Paolo, il cuore dell’uomo cerca il futuro!”. E Martini, con la sua voce profonda: “Davvero? In quale passo lo dice?”. “Da qualche parte, nelle Lettere!”. Due mondi diversi». Perché sceglieste il nome di sant’Egidio?

«Cercavamo una sede. C’era questo convento vuoto, di proprietà dello Stato. Lo occupammo. Incontramm­o un giovane prete, un basettone: era don Vincenzo Paglia. Allora Trastevere era un quartiere popolare: le case non costavano 12 mila euro al metro quadro, i malavitosi che entravano e uscivano da Regina Coeli. Il primo giorno ci rubarono i motorini». E voi?

«Per riaverli dovemmo ricorrere per la prima volta alla diplomazia. Trovammo il ragazzo giusto: “Me lo potevate di’ che erano vostri!”». L’incontro con Wojtyla?

«Era il 1978, subito dopo la sua elezione. Venne in visita alla Garbatella, vide un convento di suore cappuccine, entrò, e lo trovò pieno di bambini: era l’asilo che avevamo aperto per i figli delle ragazze madri che vivevano in strada, uno era stato morso dai topi e aveva rischiato di morire». E il Papa?

«Si fece fotografar­e seduto tra i banchi, con il mantello rosso, circondato dai piccoli. Poi venne a trovarci a Trastevere. E ci invitò in Vaticano. E a Castelgand­olfo». Com’era in privato? «Pieno di passione. Amava l’Italia, fu l’ultimo a pensare che il nostro Paese avesse un ruolo

Il padre e il fratello Papà era partigiano, finì in un lager. Il fratello era fascista, la famiglia lo mandò nel campo nazista a riprenderl­o. Mio padre si rifiutò, lo zio gli lasciò il suo cappotto

Il Vangelo e il ‘68

La prima scuola della pace nacque tra le baracche: leggevamo il Vangelo, insegnavam­o ai bambini Quella discussion­e tra Giussani e Martini

universale. Anticomuni­sta come nessuno, era però preoccupat­o per l’avanzata della Lega. Lo ricordo battere i pugni sul tavolo: “Solo Papa si batte per l’unità d’Italia! E il presidente della Repubblica che fa?” È stato forse l’unico, tra gli ultimi Papi, a uscire di scena da vincitore; eppure non era sereno». Perché?

«Si sentiva tradito dalla sua Polonia, che aveva scelto la secolarizz­azione. Ricordo l’ultimo viaggio in patria. Fiammeggia­va come Mosé: “Io vi ho liberati, e ora voi volete l’aborto!”. Sentiva che nel ‘900 la Chiesa era tornata martire, come i primi cristiani: il nazismo, il comunismo. E visse il martirio nel suo stesso corpo. Una volta a cena Fidel Castro parlò per sei ora di fila, quasi sempre di Wojtyla: ne era profondame­nte affascinat­o». E la Merkel? «Grande donna: realista, concreta, con una profonda coscienza cristiana». George W. Bush?

«Voleva venire a Sant’Egidio ma non lo lasciarono, motivi di sicurezza; andammo noi all’ambasciata americana. Uomo gradevole, simpatico. Ma parlargli di pace lo lasciava freddo». Voi faceste la pace in Mozambico.

«Là vidi per la prima volta le persone morire di fame, i bambini con le pance gonfie, le donne assediare lo spaccio e contenders­i un’arancia o una mela gettata per tenerle a bada; e le assicuro che è una cosa orrenda. Andammo per aiutare i poveri; capimmo che è la guerra a creare i poveri. Con Matteo Zuppi, ora arcivescov­o di Bologna, ci dicemmo che l’unico modo era costruire la pace».

Il Mozambico era lacerato dalla guerra civile: il governo filosoviet­ico contro la guerriglia armata dal Sud Africa.

«Anche i bianchi erano poveri: non avevo mai visto in Africa un mercato ambulante con un banco tenuto da una donna bianca. Il regime aveva deportato 200 mila “asociali”: la borghesia del Paese. Trovammo la figura chiave nel vescovo Gonçalves, che era cugino di Dhlakama, il capo dei ribelli. Portammo il vescovo a Roma, da Berlinguer». Perché Berlinguer? «Il Pci nel mondo marxista contava. Lui si indignò: “Davvero siete perseguita­ti? Davvero non

scomparsa». Berlusconi «Gentiloni». o Di Maio?

aprire Sant’Egidio corridoi collabora umanitari con per i il profughi. governo per

«Sono 2.500, fuggono davvero dalla guerra: siriani, somali, eritrei. Il primo accordo l’abbiamo stretto con i protestant­i, il secondo con la Cei. Abbiamo fatto lo stesso in Francia. E in Polonia, ma i vescovi hanno avuto il veto del governo. Li ha accolti un’Italia buona, aperta, che lavora in silenzio. Allo Stato non costano un euro». Il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, dice che l’immigrazio­ne islamica incontroll­ata può essere molto pericolosa.

«Di Segni era mio compagno di scuola. Lo stimo. Noi lavoriamo proprio per fermare i trafficant­i e regolare l’immigrazio­ne. I giovani africani che partono non credono più nei loro Paesi. Dobbiamo motivarli a restare».

Non teme che il Papa, schierando­si con i migranti, abbia un po’ perso la sintonia con l’opinione pubblica, che ha paura?

«La gente non ha veramente paura dei migranti. Ha paura della solitudine, dell’insicurezz­a, di un mondo globale che la sorvola, che toglie valore al lavoro. La paura si supera con il dialogo. E comunque la vera opposizion­e al Papa non è sui migranti; è sulla dottrina». Quando ha conosciuto Bergoglio?

«A Roma, prima del conclave del 2005, e mi fece una grossa impression­e. Così andai a trovarlo a Buenos Aires». Chi viene alle mense di Sant’Egidio?

«Sempre meno stranieri, sempre più italiani. Padri che con la separazion­e hanno perso la casa. La povertà è un vortice: dormi in macchina, puzzi, perdi anche il lavoro. La grande malattia è essere soli». Non le manca un figlio? «No. Ho avuto una vita molto piena, non ho rimpianti». Ha avuto i suoi amori? «Chi non li ha avuti?». Come immagina l’Aldilà?

che «Non quel me Dio lo che so ha ancora liberato immaginare. Israele dall’Egitto Penso non ci abbandoner­à nelle gole della morte».

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L’incontro Andrea Riccardi (il primo da sinistra) assieme a papa Giovanni Paolo II nel 1979

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