Corriere della Sera

Lo zio: «Giustizia, ma in tribunale La comunità? Non ci rispondeva»

- di Rinaldo Frignani

«Lo strumento per far cambiare le cose, per onorare davvero la memoria di Pamela, non è la pistola. Semmai è la matita, da usare bene nella cabina elettorale. Così si cambiano davvero le cose».

Marco Valerio Verni lo dice a poche ore dalla caccia allo straniero nel centro di Macerata. Lui è lo zio della ragazza trucidata in via Spalato, ma è anche il legale di famiglia. Quello che dice lui, poi, è ciò che dice e pensa anche la sorella Alessandra, la mamma di Pamela, che dopo gli sfoghi dei giorni scorsi ora pensa solo all’addio a sua figlia.

Vi aspettavat­e una follia del genere?

«No, anzi. Abbiamo subito preso le distanze da ciò che è successo. Non è il modo di rispondere a un atto tragico. Ci troviamo di fronte a uno scontro fra mondo civile e mondo barbaro».

In che senso?

«È una battaglia che prescinde dal colore della pelle, dalla razza, da tutto. Nel mondo civile non ci sono differenze, non ci interessan­o. Ci sono solo persone che combattono nefandezze come quella che ci ha tolto Pamela. E che non si lasciano andare ad altre barbarie».

Il rimedio?

«Di sicuro non è quello di mettersi a sparare per strada. Ci sono le aule di tribunale, la giustizia, le regole democratic­he. A loro il compito di assicurare alle patrie galere la bestia o le bestie di Pamela».

Sua nipote conosceva Luca Traini?

«Assolutame­nte no. Anche perché non poteva avere contatti fuori dalla comunità. E nemmeno il papà si trovava a Macerata. Era a Roma, nel suo b&b».

Ci sono altri responsabi­li della morte di Pamela?

«Alla Pars hanno fatto tutto il possibile per evitare che scappasse? Se l’avessero bloccata i genitori non li avrebbero mai denunciati e tutto ciò non sarebbe successo. Ma non l’hanno fatto. Pamela era già scappata dalla San Valentino a ottobre. Ce l’avevamo mandata chiedendo un provvedime­nto al tribunale, che aveva nominato la nonna materna amministra­trice di sostegno, responsabi­le dei ricoveri e delle cure: dalla Pars non hanno mai risposto alle sue mail».

La droga. Perché?

«Colpa di un ragazzo che frequentav­a un anno e mezzo fa. Un poco di buono con un brutto giro. Non andava a scuola. Si drogava. L’ha iniziata lui. Ma i genitori di Pamela se ne sono accorti e l’hanno affidata ai servizi sociali fino a 21 anni. La comunità? All’inizio sembrava averla presa bene. Voleva cominciare il percorso per rimettersi in piedi».

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(foto Ansa) Sui social Una foto tratta dal profilo Facebook di Pamela Mastropiet­ro, la 18enne romana uccisa e fatta a pezzi nel Maceratese

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