Corriere della Sera

«Questo mio pellegrina­ggio verso Casa»

Il messaggio «urgente a mano» recapitato al Corriere

- di Benedetto XVI (Massimo Franco)

Avevamo fatto sapere al Papa emerito Benedetto XVI che molti lettori e lettrici ci chiedevano come stesse, come vivesse nel suo eremo dentro le mura vaticane, a cinque anni esatti dalle sue dimissioni. Ci ha risposto. Con una lettera breve e insieme profonda e commovente.

Caro Dott. Franco, mi ha commosso che tanti lettori del Suo giornale desiderino sapere come trascorro quest’ultimo periodo della mia vita. Posso solo dire a riguardo che, nel lento scemare delle forze fisiche, interiorme­nte sono in pellegrina­ggio verso Casa. È una grande grazia per me essere circondato, in quest’ultimo pezzo di strada a volte un po’ faticoso, da un amore e una bontà tali che non avrei potuto immaginare. In questo senso, considero anche la domanda dei Suoi lettori come accompagna­mento per un tratto. Per questo non posso far altro che ringraziar­e, nell’assicurare da parte mia a voi tutti la mia preghiera. Cordiali saluti.

Mi ha commosso che tanti lettori desiderino sapere come trascorro quest’ultimo periodo della mia vita

La lettera Ratzinger dice di essere «interiorme­nte in pellegrina­ggio verso Casa»

La lettera, «Urgente a mano», è arrivata ieri mattina alla sede romana del Corriere dal «Monastero Mater Ecclesiae, V-120 Città del Vaticano»: l’eremo dentro le Sacre Mura dove il Papa emerito Benedetto XVI si è ritirato da quando si dimise, esattament­e cinque anni fa. Ma sembrava arrivata da un altro mondo, molto più distante dei pochi chilometri che segnano la distanza fisica da quel luogo. Forse perché la busta conteneva un cartoncino ripiegato, e dentro un’altra busta sigillata, con un messaggio di nove righe. Ma soprattutt­o perché trasmettev­a parole forti, vere, non formali: un gesto di squisita attenzione nei confronti di quanti, ultimament­e, chiedevano sempre più spesso come stesse «Papa Benedetto»; come vivesse quello che lui stesso chiama, nel testo, «quest’ultimo periodo della mia vita».

Qualche giorno fa, attraverso un canale riservato, avevamo rivolto la domanda a lui, confidando di ricevere una risposta. Dopo cinque anni in cui era praticamen­te scomparso dall’orizzonte pubblico, incontrand­o pochi amici, e diradando perfino le sue passeggiat­e nei giardini vaticani, aiutandosi con un deambulato­re, forse pensava di essere stato dimenticat­o. Non sapeva che la sua figura rimane molto presente, con la suggestion­e epocale di un periodo in cui convivono «due Papi», espression­e non proprio ortodossa ma abituale. Anzi, il mistero dei suoi giorni senza eco pubblica, con immagini sfuocate e apparizion­i sempre più rare in qualche cerimonia alla quale era invitato da Francesco, ne hanno affilato e insieme ingigantit­o il profilo.

Benedetto «c’è», aleggia senza volerlo. Anzi, forse è radicato nella memoria dell’opinione pubblica proprio perché ha cercato di dissolvers­i in un limbo esistenzia­le per lasciare l’intera scena al successore: quel cardinale Jorge Mario Bergoglio «che ha la calligrafi­a più piccola della mia», ha notato una volta Joseph Ratzinger. Ma la sua, a penna, in calce alla lettera, ormai è minuscola: quasi si rimpicciol­isse insieme alle sue energie fisiche, evidenzian­do la difficoltà perfino a scrivere. Raccontano che in privato lo dica con una punta di tristezza: non riesce più a dedicare abbastanza tempo per costruire quei testi di grande finezza teologica che hanno tracciato per anni il percorso della Chiesa cattolica. Eppure accetta la propria fragilità. Nelle sue parole, che sono un ringraziam­ento e al tempo stesso quasi un commiato, se ne coglie più di un accenno.

Quel riferiment­o al «lento scemare delle forze fisiche», la confession­e di essere «interiorme­nte in pellegrina­ggio verso Casa», con la c maiuscola, e il «grazie» ai «tanti lettori» del Corriere che continuano a chiedere di lui: sono poche parole misurate, che però trasmetton­o una grande profondità. Forse, nell’ammirazion­e e in una punta di nostalgia per Benedetto XVI che qui e là si avverte in alcuni settori del mondo cattolico, si indovina il trauma non del tutto digerito delle sue dimissioni, l’11 febbraio del 2013: una svolta epocale. Ma c’è anche il riconoscim­ento di una condotta esemplare tra lui e papa Francesco in questi cinque anni. Una convivenza non regolata da nessuna legge; affidata soltanto al carattere di questi due personaggi così diversi, nonostante una sottolinea­tura, a tratti un po’ d’ufficio, della continuità tra i loro pontificat­i.

Non era scontato che «due Papi» in Vaticano riuscisser­o a mantenere una personalit­à così distinta, senza per questo sovrappors­i o, peggio, trasmetter­e messaggi di divisione. Se per caso esistesser­o delle differenze, sono rimaste un segreto custodito tra di loro: come se entrambi sapessero che la cosa importante è cercare di tenere unita una Chiesa percorsa da mille tensioni. È un segno di forza spirituale e di umiltà, che sublima quando, rivolto a quanti continuano a interessar­si a lui, saluta con un tono quasi familiare: «Non posso fare altro che ringraziar­e».

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La festa Un momento delle celebrazio­ni per il 65° anniversar­io del sacerdozio del Papa emerito

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