Corriere della Sera

Il metodo don Gino

- di Massimo Gramellini

Starbucks sbarca a Milano nell’ex palazzo della Posta di piazza Cordusio e chiede di potersi espandere con un dehors. C’è un problema: lo spazio all’aperto è già occupato dall’edicola sociale di don Gino Rigoldi, dove lavorano tre dei suoi ragazzi scampati al carcere e a varie disgrazie.

Non oso immaginare come sarebbe andata a finire, se al posto di don Gino ci fosse stato un arruffapop­olo. Appelli, contrappel­li, cordoni umanitari contro i cattivoni della globalizza­zione che scacciano i cavalieri buoni della solidariet­à. E un bel ricorso al Tar, che in Italia non si nega a nessuno. Alla fine i tavolini di Starbucks sarebbero spuntati lo stesso sul marciapied­e, e i contestato­ri sarebbero stati i primi a sedervisi, ma vuoi mettere il piacere di avere fatto le vittime?

Per fortuna al posto di don Gino c’era don Gino. Ha incontrato i capi di Starbucks ed è andato subito al punto: vi lascio lo spazio per il dehors, a patto che assumiate venti dei miei protetti. I manager, compreso di avere a che fare con un collega, hanno accettato senza fiatare. E l’edicola sociale? Prima di andare a trattare con la multinazio­nale, don Gino aveva già ottenuto dal Comune di spostarla altrove... In queste giornate elettorali dense di roboanti minacce e promesse a vuoto, mi chiedo come sarebbe un’Italia governata con il sereno pragmatism­o di don Gino. Un po’ più felice, forse. Di sicuro meno confusa. I veri sognatori sono persone pratiche.

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