Così l’immigrazione detta il voto I nazionalisti pesano ma non vincono
Ricerca Ismu sulle urne in 4 Paesi: solo in Germania prevale il fronte pro migranti
Non è una particolarità italiana. Ognuno con i suoi toni e le sue polemiche, i Paesi europei che l’anno scorso sono andati al voto hanno discusso in campagna elettorale soprattutto di immigrazione.
Lo osserva, tra gli altri, il politologo della Statale di Milano Nicola Pasini, che (con l’aiuto di Livia Ortensi, Marta Regalia e Pierre Georges Van Wolleghem) per conto della Fondazione Ismu ha passato in rassegna quattro recenti votazioni — in Olanda, Francia, Gran Bretagna e Germania — per concludere che se «i partiti o movimenti anti-immigrazione non sono riusciti
In Europa In Olanda e Gran Bretagna la maggioranza è di chi chiede più «chiusura»
La frattura La polarizzazione classica destra/sinistra superata da quella chiusura/apertura
a imporsi come forza di governo», tuttavia «hanno occupato la scena politica ottenendo un consenso significativo». E condizionando anche le formazioni meno radicali. «Il tema dell’immigrazione sta diventando sempre più centrale nell’agenda politica nazionale e spesso le elezioni si vincono o si perdono anche in funzione delle posizioni prese dai diversi partiti su questa issue fondamentale».
Per opportunismo, allora, ma anche perché dalla crisi dei rifugiati del 2015 la questione è in vetta alle preoccupazioni degli europei — scavalcando pure crisi economica e disoccupazione — tutte le forze in campo ne parlano. Lo studio, nelle differenze dei sistemi elettorali, prende in considerazione nei quattro Paesi i principali partiti e li raggruppa in base ai proclami pro o contro gli stranieri.
Dai nazionalisti estremi come il Partito per la Libertà (Pvv) in Olanda, il Front National in Francia, l’Ukip britannico e l’Alternativa per la Germania; fino ai sostenitori dell’apertura (e dell’Ue, i due temi si tengono) sul modello dei laburisti e socialdemocratici; passando per gli «intermedi» cristiano-democratici.
A leggere i risultati, i partiti della «chiusura» (basta ingressi, meno Europa, e così via) non hanno vinto. Eppure in 2 casi su 4 hanno riportato la maggioranza relativa. Timida nel caso dell’Olanda (sommando la percentuale del Pvv con quella di Libertà e Democrazia, su posizioni analoghe). Maggioranza importante per i contrari all’immigrazione in Gran Bretagna contando l’Ukip assieme ai conservatori. Quota minoritaria, ma decisamente alta al primo turno delle presidenziali in Francia (41,3 per cento aggiungendo ai voti della frontista Marine Le Pen quelli del gollista François Fillon, meno estremo, ma comunque negativo). Sorprende la Germania, che dei quattro Paesi è il più interessato dai nuovi flussi, ci si sarebbe potuti aspettare un atteggiamento ostile diffuso. E invece gli estremisti di AfD hanno attirato molta attenzione, ma hanno riportato solo il 12,64 per cento: la grande maggioranza degli elettori ha seguito partiti «neutrali» come la Cdu di Angela Merkel, se non «favorevoli» all’immigrazione come l’Spd, la Linke o i Grünen.
Guardare solo agli schieramenti, però, può essere fuorviante. I ricercatori annotano che più che sulla classica polarizzazione destra/sinistra, la scelta alle urne si è orientata lungo la frattura chiusura/ apertura, che attraversa le classi, ed è condizionata dal genere, dal livello di istruzione, dall’impiego, dalle paure.
È in questa spaccatura che gli estremisti — con le loro «soluzioni semplicistiche e seducenti a problemi complessi» — sono più bravi ad attingere consenso. Anche nei Paesi dell’Est Europa, per esempio, più di transito che di arrivo dei rifugiati, dove la retorica dell’«ondata» non dovrebbe attecchire. Anche negli Stati dove l’ immigrazione è recente e per quanto rapida ancora contenuta, come l’Italia.