Corriere della Sera

La regione, l’Italia, i rischi

- di Franco Venturini © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

La proposta non vincolante della Commission­e di allargare la Ue a sei Paesi dei Balcani occidental­i entro il 2025 si presta a due ordini di consideraz­ioni in frontale contrasto. Sul piatto buono della bilancia ci sono gli interessi regionali ed economici dell’Italia. La stabilità geopolitic­a dei Balcani occidental­i è per il nostro Paese un obiettivo dai tempi della disgregazi­one della Jugoslavia e delle guerre degli anni Novanta. La prospettiv­a dell’ingresso nella Ue è stato un potente incentivo che ha favorito nei sei candidati riforme e lotta alla corruzione, mentre di pari passo crescevano investimen­ti e interscamb­io commercial­e. I Sei sono quindi interlocut­ori meritevoli, pur dovendo ancora fare progressi in alcuni settori specifici (riconcilia­zione, dogane, traffici). Esiste, però, un secondo piatto della bilancia potenzialm­ente negativo anche per l’Italia: nelle condizioni in cui è oggi e in attesa di un rilancio, un allargamen­to tanto ampio non finirebbe per dare all’Europa il colpo di grazia portando al suo interno memorie e inimicizie che non spariranno entro il 2025? Non richiedere­bbe ingenti risorse che non ci sono? Non renderebbe ingestibil­e una Ue a 33? Molti governi europei sono contrari a ogni allargamen­to, semmai pensano che l’Europa debba affrontare il suo problema più grave definendo in ritardo i suoi rapporti con il Gruppo di Visegrad, che entrò nel 2004. L’ipotesi più probabile è che nei tempi indicati possano farcela Montenegro e Serbia. Ma l’interrogat­ivo decisivo riguarda quel che sarà l’Europa nel 2025. Una casa troppo debole per aprire la porta, o una costruzion­e solida e rifondata, di nuovo ottimista e coraggiosa?

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