La regione, l’Italia, i rischi
La proposta non vincolante della Commissione di allargare la Ue a sei Paesi dei Balcani occidentali entro il 2025 si presta a due ordini di considerazioni in frontale contrasto. Sul piatto buono della bilancia ci sono gli interessi regionali ed economici dell’Italia. La stabilità geopolitica dei Balcani occidentali è per il nostro Paese un obiettivo dai tempi della disgregazione della Jugoslavia e delle guerre degli anni Novanta. La prospettiva dell’ingresso nella Ue è stato un potente incentivo che ha favorito nei sei candidati riforme e lotta alla corruzione, mentre di pari passo crescevano investimenti e interscambio commerciale. I Sei sono quindi interlocutori meritevoli, pur dovendo ancora fare progressi in alcuni settori specifici (riconciliazione, dogane, traffici). Esiste, però, un secondo piatto della bilancia potenzialmente negativo anche per l’Italia: nelle condizioni in cui è oggi e in attesa di un rilancio, un allargamento tanto ampio non finirebbe per dare all’Europa il colpo di grazia portando al suo interno memorie e inimicizie che non spariranno entro il 2025? Non richiederebbe ingenti risorse che non ci sono? Non renderebbe ingestibile una Ue a 33? Molti governi europei sono contrari a ogni allargamento, semmai pensano che l’Europa debba affrontare il suo problema più grave definendo in ritardo i suoi rapporti con il Gruppo di Visegrad, che entrò nel 2004. L’ipotesi più probabile è che nei tempi indicati possano farcela Montenegro e Serbia. Ma l’interrogativo decisivo riguarda quel che sarà l’Europa nel 2025. Una casa troppo debole per aprire la porta, o una costruzione solida e rifondata, di nuovo ottimista e coraggiosa?