«Caro presidente, ferma le armi Per il mio amico ucciso a scuola»
Ava, sette anni, aveva assistito alla sparatoria Delusa dalla risposta di Trump, gli scrive ancora
La lettera «Sono molto triste. Amavo Jacob e avevo deciso di sposarlo un giorno. Odio le pistole»
«Dear Mr. President, WASHINGTON mi chiamo Ava Rose Olsen e ho sette anni...». Un foglio di quaderno a righe, scritto a matita, con caratteri larghi e l’emozionante lucidità di una bambina che si rivolge al presidente degli Stati Uniti. La lettera è datata 23 agosto 2017. È il racconto di una strage, una delle 170 in un edificio scolastico, da quella della Columbine High School, nel 1999.
È una giornata d’autunno del 2016 a Townsville, in South Carolina. Gli scolari escono in cortile per l’intervallo. Si avvicina un pick up con al volante un ragazzino di 14 anni. È un ex alunno, un «alunno modello» dicono gli insegnanti, conosce gli spazi. Ha una pistola, rubata dal comodino del padre, che ha ucciso prima di mettersi in macchina. Spara per dodici secondi, prima che l’arma si inceppi. Ferisce una maestra alla spalla, un bambino ai piedi e colpisce in pieno Jacob Hall, sei anni, il più piccolo di tutti.
Jacob muore all’ospedale, tre giorni dopo. Era il miglior amico di Ava, che ora, dopo sedici mesi di trauma, lo racconta così a Donald Trump: «Il mio miglior amico, Jacob, è stato colpito ed è morto. Sono molto triste. Lo amavo e avevo deciso di sposarlo un giorno. Odio le pistole. Una di queste ha rovinato la mia vita e si è presa il mio migliore amico. Lei può proteggere i bambini? In che modo lo può fare?».
Poco prima di Natale, riferisce il Washington Post, la famiglia Olsen riceve una busta tutta bianca. Il sigillo è quello del presidente degli Stati Uniti. Mary Olsen, la mamma di Ava, la apre con cautela, la scorre e poi la consegna alla figlia.
È datata 19 dicembre 2017 e intestata «The White HouseWashington». Si legge: «Cara Ava, grazie per la tua lettera. Sei stata molto coraggiosa a condividere la tua storia con me. La signora Trump e io siamo così dispiaciuti per la perdita del tuo amico, Jacob».
Poi l’impegno: «Il mio obiettivo come presidente è di garantire che i bambini in America crescano in un ambiente sicuro e che abbiano le migliori possibilità per realizzare tutte le loro potenzialità». Infine una nota personale: «La signora Trump e io ti teniamo stretta nei nostri cuori. Speriamo tu possa sempre ricordare, qualunque cosa accada, che tante persone ti amano, ti sostengono e vogliono aiutarti a realizzare i tuoi sogni».
La risposta del presidente riconosce, sia pure in modo indiretto, quanto sia drammatico il tema della sicurezza nelle scuole. Solo nell’ultimo mese si contano sei tentate stragi: 3 adolescenti morti e 25 feriti. I killer sono quasi sempre altri ragazzi. Il primo febbraio, nella Belmont High School di Los Angeles, una ragazzina di 12 anni ha sparato contro i suoi compagni di studio, ferendone cinque.
Tutte queste cose, naturalmente, Ava non le conosce. Sente, però, che è arrivato il momento di fare uno sforzo in più.
Il messaggio della Casa Bianca, evidentemente, non l’ha convinta fino in fondo. Così, l’8 gennaio strappa un altro foglio dal suo raccoglitore, si mette a tavolino e ricomincia: «Caro Presidente, le scuole dovrebbero essere costruite in modo più sicuro. Se lei ha tempo, io qualche idea ce l’avrei…».