Corriere della Sera

Ogni istante della vita è eterno L’

Emanuele Severino sul destino delle cose. Le critiche a Horkheimer, Adorno e Popper

- di Pierluigi Panza

uomo teme la morte. Se la morte è la minaccia che Dio rivolge ad Adamo, significa che Dio sa ciò che il primo uomo già teme maggiormen­te. Essa è l’elemento fondante il pensiero occidental­e, secondo il quale l’ente è concepito dal nulla, diventa ente e poi torna nel nulla, di cui la morte segna il passaggio. Ma tutto questo l’essere non può esserlo, poiché il nulla è la negazione dell’essere e dove c’è il primo, che è eterno, non si può palesare il secondo. Nel suo nuovo libro, Dispute sulla verità e la morte (Rizzoli), il filosofo Emanuele Severino muove dalle consideraz­ioni base del suo pensiero neoparmeni­deo, guidando il lettore nel labirinto delle grandi domande, anche attraverso la rielaboraz­ione di articoli apparsi sul «Corriere della Sera».

Il termine Dispute rimanda ad esempi della letteratur­a filosofica dell’Umanesimo o del Settecento: è l’affrontars­i di argomenti opposti. Qui sono il dominio delle tecnoscien­ze, che illusoriam­ente combatte il diventare nulla degli enti, contro l’immutabili­tà degli stessi in quanto esseri nella loro totalità, cosa che rimangono anche dopo il ritirarsi dalla vista.

È con il pensiero greco che gli enti incomincia­no a nascere dal nulla e sparire nel nulla. «Quasi, nascendo, moriamo», scriveva in ripresa a questo pensiero l’umanista Leon Battista Alberti; ed è ciò che diventerà l’«essere per la morte» nell’esistenzia­lismo di Martin Heidegger. Prima con i miti, poi con le religioni e, infine, con le tecnoscien­ze che hanno preso il posto della filosofia (e che il capitalism­o crede, illusoriam­ente, di controllar­e), l’Occidente ha cercato di offrire una risposta all’angoscia del venir meno di ciò che era presente prima di precipitar­e nel nulla. Per Heidegger l’«Essere» è tempo e nessun ente è eterno; per le tecnoscien­ze conta l’incidenza pragmatica di un postulato sugli enti; gli scritti di Severino perseguono una terza via: la necessità che ogni ente sia eterno perché esso sia.

L’annientame­nto non può apparire, perché non possiamo fare esperienza dell’altro e perché, quando si crede che le cose si annientino, è necessario «che si creda anche che non se ne possa più fare esperienza», ed è quindi impossibil­e che l’esperienza mostri a quale destino siano andate incontro le cose da essa uscite. Il significat­o della morte va posto fuori dal movimento dell’Occidente, concorde nelle sue esperienze del mito, delle religioni («strumenti ciechi» che si contendono la lotta al nulla) e delle tecnoscien­ze nel ritenere che l’individuo venga e ritorni al nulla. Questa concordanz­a costituisc­e una piattaform­a dogmatica che consiste nel mostrare l’impossibil­ità di qualcosa di eterno o immutabile.

Severino si pone in alternativ­a a questa piattaform­a: «Il destino della verità è l’apparire dell’eternità di ogni essente; sì che il venire e l’andare degli essenti, la loro nascita e la loro morte, è il comparire e lo scomparire degli eterni. La loro eternità è la condizione del loro ritorno». Il compimento e il non continuare che la morte segna non sono l’annientame­nto di ciò che ha avuto compimento e non continua. Per il principio per cui nessuna cosa può essere altro da ciò che è, ogni cosa è eterna, perché qualsiasi cambiament­o la renderebbe diversa da ciò che è. Anzi, essendo l’essere la totalità di ciò che esiste, non può esserci altro al di fuori di esso dotato di esistenza. Totalità non nell’accezione hegeliana della storia risolta nell’«In sé», ma totalità ontologica.

Per porre al centro l’eternità di tutte le cose e la negazione dell’ e speri bilitàdell oro diventar altro, Severino suggerisce di reintrodur­re una educazione alla morte sul modello della Death Education (cita, a questo proposito, il libro di Ines Testoni,

L’ultima nascita. Psicologia del morire e

Death Education, Bollati Boringhier­i, 2015), una sorta di meditatio mortis che i Paesi anglosasso­ni intendono rendere operante. Questo è urgente perché nel nostro tempo le tecnoscien­ze, nel dispiegare il loro scopo che è la creazione di scopi sia in chiavepr assisti ca che contropr assisti ca (Severino supera la Dialettica dell’Illuminism­o di Adorno e Horkheimer), tendono a nascondere la morte come sconfitta. La tecnoscien­za, infatti, non conosce la verità e la rifugge come Metafisica (qui la critica èa Congetture e confutazio­ni di Karl R. Popper), «ma non può nemmeno conoscere che cosa sia in verità la morte e l’angoscia per la morte». La morte è solo la persuasion­e «dell’assentarsi dell’eterno».

L’educazione alla morte deve partire dalla consapevol­ezza che l’eternità compete a ogni essente, non perché è contenuto originaria­mente in Dio, o perché la sua materia sia eterna, bensì perché esso «è quell’essente che è»: questa penombra della stanza, questo ricordo della giornata trascorsa, queste nubi del cielo, ogni istante della storia del mondo sono eterni perché sono questa penombra, questo ricordo, queste nubi, questi istanti. Non sono, e non possono diventare, un nulla.

Agli aspetti qui presentati, il volume ne aggiunge molti altri, come le osservazio­ni su Giovanni Gentile e i contributi nati dal pensiero dell’autore. In coda è pubblicata una lunga intervista rilasciata a Sioned Puw Rowlands. Il rilievo di alcuni è che Severino non abbandona il concetto di verità, così consustanz­iale alla filosofia greca, al cristianes­imo e alla scienza moderna che egli contrasta.

Riflession­i «Quasi, nascendo, moriamo», scriveva Leon Battista Alberti E questo diventerà l’«essere per la morte» di Martin Heidegger

 ??  ?? Vasilij Kandinskij (1866-1944), Composizio­ne X (1939), Düsseldorf, Galleria d’arte moderna e contempora­nea (Kunst-Sammlung Nordrhein-Westfalen)
Vasilij Kandinskij (1866-1944), Composizio­ne X (1939), Düsseldorf, Galleria d’arte moderna e contempora­nea (Kunst-Sammlung Nordrhein-Westfalen)

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy