Se solo in Sicilia «dormono» 770 mila pratiche
«Èsolo per i piccoli abusi, finestre aperte o chiuse, che riguardano la gente perbene…», tranquillizzò il ministro della cultura Giuliano Urbani. Come sia finita allora, col condono del 2003, si sa. Un caso per tutti: ad Acilia fu tirato su un ecomostro di 283.000 metri cubi sanato con 1.300 condoni individuali.
Intendiamoci: non è stato soltanto l’ex Cavaliere, tornato ieri sul tema tra immediate rivolte ambientaliste, a promettere sanatorie di vario tipo per ridar fiato all’edilizia e chiudere una massa enorme di contenziosi in un Paese in cui un cittadino su sei vive o fa le ferie in una casa in parte o del tutto fuorilegge.
Sono stati troppi, infatti, i sindaci di sinistra come Ciro Caravà, che a Campobello di Mazara fece campagna elettorale (segretario Bersani) promettendo di «salvare dalle ruspe» nell’area archeologica vicino a Selinunte, migliaia di case costruite «a meno di 150 metri dal mare». Per non dire della legge voluta mesi fa (anche se bocciata poi da Gentiloni) dal governatore pd della Campania Vincenzo De Luca, deciso a non demolire le case degli «abusivi per necessità». Gli stessi ai quali, dopo gli ammiccamenti dello stesso Luigi Di Maio («Se l’abusivismo è colpa della politica la casa resta un diritto») torna a rivolgersi ora Berlusconi.
È vero: se è facile abbattere la singola villa abusiva di una disinvolta ereditiera edificata di nascosto sull’appia Antica, come fece Walter Veltroni, assai più tortuoso è rimediare a decenni di tolleranza indecente. Lo ricorda il caso di Licata e del sindaco Angelo Cambiano, spinto a dimettersi dopo aver tentato di mettere ordine nel caos totale consentito da un predecessore eletto otto volte consecutive proprio perché orbo davanti ai cantieri illegali.
Nel momento in cui dice di voler cambiare le regole in un paese che sulle regole è già «elastico», facendo sì che «chi costruisce una casa, un ristorante o un’attività commerciale non dovrà più aspettare anni per le autorizzazioni» assumendosi lui «le responsabilità di rispettare le leggi urbanistiche e i regolamenti sanitari» da controllare solo dopo, Berlusconi dovrebbe però fissare prima (prima!) le condanne durissime ai furbi. Se no, dice il procuratore agrigentino Luigi Patronaggio, impegnato da tanti anni sul fronte della lotta alla mafia e all’abusivismo compreso quello «di necessità» contro cui si è scagliato ieri perfino Matteo Salvini, «parlare di moratoria, sospensione, o anche riutilizzo a fini sociali senza specificare quali tipi di immobili e per quali scopi, porta solo confusione e indebolisce lo sforzo di quanti sono impegnati per il ripristino della legalità». Tanto più in aree come la Sicilia dove le domande di sanatoria «lasciate dormire da decenni per perpetuare la illegalità in eterno sono 770 mila».
Sull’affidabilità dei controlli «dopo» le autodichiarazioni, del resto, dicono tutto decine di storie di mala-edilizia emerse tragicamente a ogni terremoto, ogni alluvione, ogni frana. Un impasto troppo spesso omicida di imbrogli del singolo e superficialità complici dei controllori.
Basti riprendere, ad esempio, una cronaca de Il Giornale a proposito dell’inchiesta sull’hotel Rigopiano prima della strage: «Finirono indagati in 7, tra società e amministrazione comunale. Ma dopo otto anni di indagini e udienze, proprio a fine 2016 tutti gli imputati vennero prosciolti con formula piena “perché il fatto non sussiste” per un reato che era stato comunque prescritto nell’aprile 2016. Nel frattempo la Del Rosso srl è fallita e aveva ceduto l’hotel alla Gran Sasso Resort. Che aveva ringraziato giudici e abitanti con manifesti natalizi: “Hotel Rigopiano: assolti con formula piena. Buon Natale e felice 2017”». Venti giorni dopo veniva giù tutto. Sinceramente: in un Paese così possiamo affidarci alle autodichiarazioni?