Dieci regole per smettere di usare le parole d’odio (non solo in Rete)
Le parole d’odio in rete «non fanno ridere», su questo i giovani europei son quasi tutti d’accordo. E anzi dicono che quelle parole sono «una violenza inaccettabile» (anche se «un po’ più accettabile» se dette «in risposta alla violenza altrui»), e solo due su dieci pensano che «le parole d’odio messe in rete non abbiano conseguenze sulla vita reale». Il problema è che quando le leggono, o le sentono, o quando insomma di quelle parole d’odio sono testimoni, non sanno cosa fare per contrastarle. O magari lo saprebbero ma non lo fanno. E quanti, anche tra noi cosiddetti adulti, abbiamo in fondo lo stesso problema. La buona notizia è che fare qualcosa invece si può, e che si può imparare a farlo. Con un vero decalogo di regole, un Manifesto in realtà già noto, ma che ora viene rilanciato con forza. I dati qui sintetizzati su ciò che in inglese chiamano Hate Speech sono quelli contenuti in due indagini distinte ma collegate fra loro. La prima, intitolata Eu Kids Online e dedicata ai rischi e opportunità in rete per i bambini e ragazzi, è stata condotta dal Centro ricerche su media e comunicazione dell’università Cattolica di Milano, in collaborazione col ministero dell’istruzione e la Ats «Parole Ostili», su un campione di 1.006 ragazzi tra gli 11 e i 17 anni. La seconda è un capitolo del Rapporto Giovani 2018 stilato dall’istituto Toniolo, in collaborazione con la stessa Cattolica, su un campione di addirittura cinquemila 1835enni — i famosi Millennials — di 5 Paesi europei (Italia, Francia, Spagna, Germania e Regno Unito). Incrociando i risultati delle ricerche si scopre che sul fronte dei (comunque pochi in effetti) cattivi gli italiani stanno a metà: a ritenere «accettabile» l’odio verbale in rete è l’8,8 per cento dei nostri giovani, meglio di noi francesi (7) e spagnoli (6,8), peggio tedeschi (10,2) e inglesi (12,4). La sensibilità sul tema, peraltro, è dimostrata anche rovesciando la classifica: la contrarietà alla «violenza» e basta, a vario titolo, è un valore per (almeno) il 7 per cento dei giovani europei, ma i contrari salgono a 9 su 10 nel caso della violenza verbale in rete. Tuttavia si tratterebbe, si diceva, solo di numeri se non fosse che la loro presentazione domani appunto all’università Cattolica, davanti a Valeria Fedeli, coincide con una giornata di formazione gratuita battezzata «Parole a scuola» a cui parteciperanno duemila docenti nell’ambito della Settimana sulla navigazione sicura e responsabile in Rete promossa dal Miur. L’intento è lanciare una campagna che porti davvero in ogni scuola, anche grazie alle cento schede didattiche messe a punto dall’associazione Parole Ostili, il «Manifesto della comunicazione non ostile» già varato dal ministero con le sue dieci semplici regole. Tipo «prima di parlare bisogna ascoltare», «le parole hanno conseguenze», «gli insulti non sono argomenti», e soprattutto «anche il silenzio comunica: quando è meglio tacere, taccio». Ah, ricordarselo.
I dati e la formazione
Le ricerche di Università Cattolica e Istituto Toniolo: oggi la giornata di formazione con duemila docenti