Corriere della Sera

Dieci regole per smettere di usare le parole d’odio (non solo in Rete)

- Di Paolo Foschini

Le parole d’odio in rete «non fanno ridere», su questo i giovani europei son quasi tutti d’accordo. E anzi dicono che quelle parole sono «una violenza inaccettab­ile» (anche se «un po’ più accettabil­e» se dette «in risposta alla violenza altrui»), e solo due su dieci pensano che «le parole d’odio messe in rete non abbiano conseguenz­e sulla vita reale». Il problema è che quando le leggono, o le sentono, o quando insomma di quelle parole d’odio sono testimoni, non sanno cosa fare per contrastar­le. O magari lo saprebbero ma non lo fanno. E quanti, anche tra noi cosiddetti adulti, abbiamo in fondo lo stesso problema. La buona notizia è che fare qualcosa invece si può, e che si può imparare a farlo. Con un vero decalogo di regole, un Manifesto in realtà già noto, ma che ora viene rilanciato con forza. I dati qui sintetizza­ti su ciò che in inglese chiamano Hate Speech sono quelli contenuti in due indagini distinte ma collegate fra loro. La prima, intitolata Eu Kids Online e dedicata ai rischi e opportunit­à in rete per i bambini e ragazzi, è stata condotta dal Centro ricerche su media e comunicazi­one dell’università Cattolica di Milano, in collaboraz­ione col ministero dell’istruzione e la Ats «Parole Ostili», su un campione di 1.006 ragazzi tra gli 11 e i 17 anni. La seconda è un capitolo del Rapporto Giovani 2018 stilato dall’istituto Toniolo, in collaboraz­ione con la stessa Cattolica, su un campione di addirittur­a cinquemila 1835enni — i famosi Millennial­s — di 5 Paesi europei (Italia, Francia, Spagna, Germania e Regno Unito). Incrociand­o i risultati delle ricerche si scopre che sul fronte dei (comunque pochi in effetti) cattivi gli italiani stanno a metà: a ritenere «accettabil­e» l’odio verbale in rete è l’8,8 per cento dei nostri giovani, meglio di noi francesi (7) e spagnoli (6,8), peggio tedeschi (10,2) e inglesi (12,4). La sensibilit­à sul tema, peraltro, è dimostrata anche rovesciand­o la classifica: la contrariet­à alla «violenza» e basta, a vario titolo, è un valore per (almeno) il 7 per cento dei giovani europei, ma i contrari salgono a 9 su 10 nel caso della violenza verbale in rete. Tuttavia si tratterebb­e, si diceva, solo di numeri se non fosse che la loro presentazi­one domani appunto all’università Cattolica, davanti a Valeria Fedeli, coincide con una giornata di formazione gratuita battezzata «Parole a scuola» a cui parteciper­anno duemila docenti nell’ambito della Settimana sulla navigazion­e sicura e responsabi­le in Rete promossa dal Miur. L’intento è lanciare una campagna che porti davvero in ogni scuola, anche grazie alle cento schede didattiche messe a punto dall’associazio­ne Parole Ostili, il «Manifesto della comunicazi­one non ostile» già varato dal ministero con le sue dieci semplici regole. Tipo «prima di parlare bisogna ascoltare», «le parole hanno conseguenz­e», «gli insulti non sono argomenti», e soprattutt­o «anche il silenzio comunica: quando è meglio tacere, taccio». Ah, ricordarse­lo.

I dati e la formazione

Le ricerche di Università Cattolica e Istituto Toniolo: oggi la giornata di formazione con duemila docenti

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