La disinformazione, arma a doppio taglio
Qualche giorno fa, il China Daily, quotidiano in lingua inglese dell’ufficialità di Pechino, ha scritto un articolo titolato «L’occidente intrappolato nell’isteria da sharp power». La definizione sharp power è stata introdotta nella conversazione politica da Jessica Ludwig e Christopher Walker in un articolo su Foreign Affairs: con esso si intende «potere disonesto», in sostanza ciò che si manifesta attraverso quelle che oggi vengono chiamate fake news. È una sottospecie del soft power. Ma mentre questo è quel potere che un Paese costruisce attraverso le sue qualità non militari o economiche — dalla cultura alla creatività — con sharp power si intende l’invenzione e la manipolazione organizzata delle informazioni per nobilitare se stessi o screditare altri. Accusati di questa attività sono soprattutto Cina e Russia. È però interessante notare che Pechino e Mosca faticano a migliorare le loro credibilità nonostante l’energia che mettono nell’impresa. Secondo l’indice Soft Power 30 del 2017 elaborato dalla società di consulenza Portland e dal Center on Public Diplomacy della University of Southern California, il Paese che nel mondo è più attraente per le sue qualità soft è la Francia, che l’anno scorso grazie all’elezione di Emmanuel Macron ha superato l’america di Donald Trump, scesa al terzo posto rispetto all’anno prima. Alla posizione numero due è rimasto il Regno Unito (nonostante la Brexit o grazie a essa), alla quattro la Germania, alla cinque il Canada. L’italia è alla posizione numero 13 della classifica e si può notare che nei primi 19 posti ci sono solo Paesi di piena democrazia i cui governi non hanno (o non dovrebbero avere) dipartimenti di disinformazione e non possiedono media che manipolano le notizie. Nella classifica del soft power la Cina è al posto 25 e la Russia al 26, su 30. Questo nonostante che da un decennio Pechino investa ogni anno dieci miliardi di dollari per sostenere la sua reputazione (secondo David Shambaugh della George Washington University) e la Russia utilizzi numerosi siti e televisioni a scopo di propaganda. Si può dunque pensare che l’uso organizzato della disinformazione non produca buoni risultati. O che sia proprio esso a impedire a chi lo usa di essere riconosciuto come una forza positiva nel mondo.