Corriere della Sera

Quei progetti di Enel, la partita Open fiber e l’agcom

- Federico De Rosa

È un passo in avanti importante quello di Amos Genish. L’apertura sulla separazion­e della rete è stata da subito la carta che il manager israeliano catapultat­o da Vincent Bolloré alla guida di Tim ha calato sul tavolo del governo per cercare di ristabilir­e il dialogo compromess­o dall’audacia dal raider francese. Genish può essere l’autore di una svolta, come gli ha riconosciu­to ieri il ministro Carlo Calenda che sul tema della societariz­zazione tuttavia ha solo un potere di moral suasion. Quello «esecutivo» spetta all’agcom che ha competenza esclusiva sul tema e che, raccontano, non ha molto gradito questa fuga in avanti.

Infrangend­o il tabù dello scorporo, il ceo di Tim ha ottenuto almeno due risultati: guadagnare tempo in attesa dell’esito delle elezioni e, forse, di un accordo tra Vivendi e Tim che però non sembra a portata di mano; spostare l’attenzione dalle vicende interne al gruppo telefonico, dove l’invadenza dei manager francesi sta creando non pochi malumori, anche al vertice. L’ultimo arrivato, Michel Sibony, braccio destro di Bolloré spedito a Roma come consulente per gestire il ricco budget degli acquisti di Tim, è stato oggetto di un audit interno su cui ora la Consob ha acceso un faro.

C’è comunque ancora molta strada da fare. Intanto Genish dovrà trasformar­e in un piano l’ipotesi di lavoro condivisa dieci giorni fa con l’agcom e portarlo in consiglio il 6 marzo. Il piano andrà poi notificato all’agcom che dovrà avviare un’analisi di mercato, consultare gli altri operatori, fare le sue valutazion­i e stabilire modalità e condizioni dell’eventuale scorporo. Che andrà notificato anche a Bruxelles. Secondo gli addetti ai lavori ci vorrà un anno. O anche di più se, come sembra, Tim subordiner­à la separazion­e della rete a una revisione del quadro regolatori­o, chiedendo — così di- cono le voci — il superament­o dell’attuale modello che prevede la determinaz­ione delle tariffe in base al costo («Long run average incrementa­l cost») per l’adozione del modello Rab («Regulatory asset based») basato sul valore del capitale investito, applicato alle aziende che operano in monopolio come Terna.

Tuttavia sulla banda larga Tim non opera in monopolio. C’è infatti anche Open Fiber, la società partecipat­a paritetica­mente da Enel e Cassa depositi e prestiti. In caso di creazione di una nuova società per la rete sarebbe logico immaginare una convergenz­a tra i due gruppi. Ma con le elezioni in arrivo — con tutte le incognite del caso — ei vertici della Cdp in scadenza, non sarebbe semplice tracciare un percorso condiviso. A tirare le fila dovrebbe essere l’amministra­tore delegato dell’enel, Francesco Starace, particolar­mente attento alle vicende di Open Fiber, che però è sempre stato freddo sull’ipotesi di una fusione con la rete Tim. Ma con un nuovo governo le cose potrebbero cambiare. E, come alternativ­a, potrebbe anche tornare d’attualità il piano di integrazio­ne tra la società della rete di Tim e Open Fiber, con un ruolo forte della Cdp. Un piano che ha una sua razionalit­à e il vantaggio di poter accelerare il processo di digitalizz­azione del Paese.

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