Quei progetti di Enel, la partita Open fiber e l’agcom
È un passo in avanti importante quello di Amos Genish. L’apertura sulla separazione della rete è stata da subito la carta che il manager israeliano catapultato da Vincent Bolloré alla guida di Tim ha calato sul tavolo del governo per cercare di ristabilire il dialogo compromesso dall’audacia dal raider francese. Genish può essere l’autore di una svolta, come gli ha riconosciuto ieri il ministro Carlo Calenda che sul tema della societarizzazione tuttavia ha solo un potere di moral suasion. Quello «esecutivo» spetta all’agcom che ha competenza esclusiva sul tema e che, raccontano, non ha molto gradito questa fuga in avanti.
Infrangendo il tabù dello scorporo, il ceo di Tim ha ottenuto almeno due risultati: guadagnare tempo in attesa dell’esito delle elezioni e, forse, di un accordo tra Vivendi e Tim che però non sembra a portata di mano; spostare l’attenzione dalle vicende interne al gruppo telefonico, dove l’invadenza dei manager francesi sta creando non pochi malumori, anche al vertice. L’ultimo arrivato, Michel Sibony, braccio destro di Bolloré spedito a Roma come consulente per gestire il ricco budget degli acquisti di Tim, è stato oggetto di un audit interno su cui ora la Consob ha acceso un faro.
C’è comunque ancora molta strada da fare. Intanto Genish dovrà trasformare in un piano l’ipotesi di lavoro condivisa dieci giorni fa con l’agcom e portarlo in consiglio il 6 marzo. Il piano andrà poi notificato all’agcom che dovrà avviare un’analisi di mercato, consultare gli altri operatori, fare le sue valutazioni e stabilire modalità e condizioni dell’eventuale scorporo. Che andrà notificato anche a Bruxelles. Secondo gli addetti ai lavori ci vorrà un anno. O anche di più se, come sembra, Tim subordinerà la separazione della rete a una revisione del quadro regolatorio, chiedendo — così di- cono le voci — il superamento dell’attuale modello che prevede la determinazione delle tariffe in base al costo («Long run average incremental cost») per l’adozione del modello Rab («Regulatory asset based») basato sul valore del capitale investito, applicato alle aziende che operano in monopolio come Terna.
Tuttavia sulla banda larga Tim non opera in monopolio. C’è infatti anche Open Fiber, la società partecipata pariteticamente da Enel e Cassa depositi e prestiti. In caso di creazione di una nuova società per la rete sarebbe logico immaginare una convergenza tra i due gruppi. Ma con le elezioni in arrivo — con tutte le incognite del caso — ei vertici della Cdp in scadenza, non sarebbe semplice tracciare un percorso condiviso. A tirare le fila dovrebbe essere l’amministratore delegato dell’enel, Francesco Starace, particolarmente attento alle vicende di Open Fiber, che però è sempre stato freddo sull’ipotesi di una fusione con la rete Tim. Ma con un nuovo governo le cose potrebbero cambiare. E, come alternativa, potrebbe anche tornare d’attualità il piano di integrazione tra la società della rete di Tim e Open Fiber, con un ruolo forte della Cdp. Un piano che ha una sua razionalità e il vantaggio di poter accelerare il processo di digitalizzazione del Paese.