Cambia il nostro modo di vedere la vita Ecco perché leggiamo Richard Ford
Il suo «Tra loro», edito da Feltrinelli, è il miglior libro del 2017 per la Giuria di Qualità del supplemento
Racconta l’america, e noi. Oggi sarà a Milano premiato da «la Lettura»
«Le storie — non importa come vanno a finire, o come si sviluppano — sono comunque utili. Portano redenzione nelle nostre vite perché dicono ai lettori: “Questa cosa che ti sto raccontando parla della vita, perché la vita merita di essere osservata più da vicino. È la cosa che attraversi ogni giorno, e a malapena ti accorgi di lei. Ma in realtà è tutto quello che hai». Le storie, e la vita: è tutta qui, in poche righe, l’opera di Richard Ford. L’ha spiegato con la consueta semplicità e intelligenza, qualche mese fa, alla «Billings Gazette», un piccolo giornale locale del Montana (dove ha una casa da tanti anni). Le storie e la vita. L’aveva capito subito, più di trent’anni fa, il recensore del «New York Times» che davanti ai racconti di Rock Springs scrisse che la prosa fordiana è fatta di «momenti luminosi, momenti che possono cambiare il modo in cui il lettore vede le cose, e il modo in cui pensa».
Attraverso i suoi romanzi, le raccolte di racconti, i saggi d’occasione che — a volte gli scrittori possono essere ottimi critici dei libri altrui ma pessimi critici di se stessi — si è sempre rifiutato di raccogliere in volume perché non li ritiene all’altezza, Ford ha fatto, semplicemente, proprio quella cosa difficilissima: è uno di quegli scrittori che cambiano il modo in cui vedi le cose.
Apparentemente molto maschile — la caccia, lo sport, la scelta dei protagonisti e l’ethos hemingwayano — ha un esercito di lettrici, perché il punto di vista è di un uomo ma la descrizione dei comportamenti e delle emozioni — della vita — delle donne è di un’accuratezza da entomologo. È un osservatore silenzioso e attentissimo di tutto quello che lo circonda, e non conosce il blocco dell’ispirazione perché l’ispirazione è letteralmente tutto quello che lo circonda — è la vita.
I lettori di Ford lo amano di un amore speciale, i critici gli hanno dato tutti i premi più importanti del mondo tranne uno, il Nobel (e in un’intervista con il «Corriere della Sera» poche ore dopo l’assegnazione a Bob Dylan del premio che spazzò via le chance della straordinaria generazione di Delillo e Mccarthy e
«Attraversi ogni giorno la vita, quasi non ti accorgi di lei Ma è tutto quello che hai»
Roth, Ford ebbe la classe di complimentarsi con il musicista-poeta).
Ma i lettori gli hanno regalato un posto sullo scaffale dei libri che finisci per riprendere in mano: per rileggere quel passaggio di Canada o de Il giorno dell’indipendenza, quel racconto di Donne e uomini. Le frasi che ci sono rimaste nella memoria perché, appunto, hanno cambiato il modo in cui vediamo la vita.
Il libro premiato da «la Lettura», Tra loro (Feltrinelli, come tutto Ford) distilla in un memoir nitido — e devastante nella sua sintesi: a 73 anni non ha più nulla, tecnicamente, da imparare — tutti i motivi per cui chi ama Ford sa che si tratta di uno scrittore unico. Il racconto
della sua infanzia con i genitori, il padre scomparso improvvisamente — morto tra le sua braccia quando Richard aveva appena compiuto 16 anni — e la madre. Il libro comincia «in un posto che sprofonda nella mia infanzia», Richard bambino che vede papà tornare a casa da uno dei suoi viaggi con un grande sacchetto di gamberi lessati comprati in Louisiana.
«Quasi tutto se ne va, tranne l’amore», scrive dribblando l’ostacolo del sentimentalismo con la semplicità dell’autore che odia la melassa. E poi, dopo una quarantina di pagine, ti prende alla gola con una frase così. Se il cuore di suo padre non si fosse fermato quella mattina del 1960, lui non sarebbe diventato scrittore: senza la morte di quel commesso viaggiatore non avremmo avuto i libri di Richard Ford. Avrebbe fatto il commesso viaggiatore come papà, «e sarebbe andata benissimo così».
«Questa non è una storia allegra. Siete avvertiti», dice subito il narratore di «Great Falls», uno dei racconti più belli — e più fordiani — di Ford: un’infedeltà coniugale osservata attraverso gli occhi di un ragazzino. Quando il «New Yorker» — dove da quasi quarant’anni pubblica storie e saggi, come su «Esquire» — chiese a Ford di leggere un racconto a sua scelta per un podcast, una registrazione audio da diffondere sul sito della rivista, lui non scelse un racconto degli amatissimi Flannery O’connor o Richard Yates (al quale scrisse una lettera da fan) o dell’amico Raymond Carver ma, a sorpresa, John Cheever. «Riunione», che comincia così: «L’ultima volta che ho visto mio padre è stato alla Grand Central Station».
Lo scorso dicembre, quando la redazione de «la Lettura» aveva finito di preparare la pagina che sarebbe uscita il giorno successivo con l’annuncio dell’assegnazione a Tra loro del nostro premio, mandai un messaggio di congratulazioni a Ford. Immaginavo che si trovasse a East Boothbay, Maine, dove in quel momento era notte e dove vive per la maggior parte dell’anno con la moglie Kristina alla quale ha dedicato tutti i suoi libri (non scrive «per Kristina», «a Kristina», ma semplicemente, tutto maiuscolo, KRISTINA, più che una dedica un ex libris).
Poche ore dopo, sorprendentemente visto il fuso orario, arrivò la risposta. Non dal Maine, ma dal Montana. E lo scrittore piuttosto temperamentale che una volta sputò in faccia a un collega colpevole di avergli dedicato una brutta recensione e sparò al libro di un’altra critica con il suo fucile da caccia e poi glielo inviò in busta chiusa, rispose a «la Lettura» con la grazia alla quale sono abituati tutti quelli che lo conoscono e lo stimano (e non lo stroncano, obiettivamente).
Ringraziò, emozionato, per l’attenzione «al mio piccolo libro» e divise il merito con il traduttore di quasi tutta la sua opera in italiano, quel fuoriclasse di Vincenzo Mantovani che ha portato ai lettori del nostro Paese Ford e Roth e tantissimi altri grandi. E spiegò, in una scena che sembra quella di un suo racconto, di aver festeggiato con Kristina, al buio, prima dell’alba ghiacciata del Montana.
Cesare Pavese diceva che nessuno scrittore aveva saputo raccontare l’italia del dopoguerra come Vittorio De Sica con i suoi film. Gli Stati Uniti ci hanno regalato tanti bravissimi romanzieri. Ma se la domanda è: quale scrittore ci ha raccontato l’america di questi anni con la stessa poesia e profondità delle canzoni di Bruce Springsteen, la risposta può tranquillamente essere «Richard Ford».
Apparentemente molto maschile, sa descrivere emozioni e gesti delle donne con accuratezza da entomologo