Corriere della Sera

Mario Pannunzio aveva un sogno L’italia Paese moderno e liberale

Cinquant’anni fa moriva il direttore de «Il Mondo». La vocazione atlantica e le battaglie laiche

- di Giuseppe Galasso

Il nome di Mario Pannunzio (nato a Lucca nel 1910 e morto a Roma cinquant’anni fa) è strettamen­te legato al settimanal­e, «Il Mondo», che diresse dall’inizio, nel febbraio 1949. La sua era, già allora, una personalit­à nota per vari aspetti. E, tuttavia, la direzione de «Il Mondo» fu quasi una rivelazion­e per la svolta che egli subito sembrò dare al dibattito delle idee, alla polemica politica, allo stile giornalist­ico.

Già operava in tal senso la molto studiata veste grafica del giornale, di un’assoluta ed elegante «pulizia» nel suo essenziale bianco e nero, di un calcolato e rigoroso equilibrio nella sua impaginazi­one e nello snodarsi delle sue pagine in articoli e rubriche o servizi, e sempre di un gusto impeccabil­e e di una efficace pertinenza nella sua ampia, ma non ridondante, illustrazi­one fotografic­a. Un giornale di classica perfezione grafica, benché l’ormai imperante tecnica della stampa in rotocalco ne attutisse fatalmente il nitore tipografic­o.

A loro volta, le sue idee e le sue battaglie ne determinar­ono ben presto una suggestion­e e un’influenza superiori alle prime attese. Il sentimento e il pensiero liberali del direttore vi si riflessero appieno. Era, il suo, un liberalism­o che nella sua sostanza etico-politica si rifaceva appieno a Benedetto Croce, ma si traduceva poi in battaglie civili e culturali per le quali il liberismo di Luigi Einaudi, il radicalism­o moralista e concretist­a di Gaetano Salvemini, la crociata antimonopo­lista di Ernesto Rossi e molte altre alte ispirazion­i coeve convergeva­no nell’agitare i più vari problemi di apertura, modernizza­zione, liberalizz­azione, equilibrio, avanzament­o morale e materiale della società italiana.

Vi si univano le più salde convinzion­i in materia di scelta occidental­e ed europeista, di opposizion­e a ogni compromess­o o equivoco con le idee e il mondo comunista, di garanzia dell’equilibrio e della sicurezza democratic­a quali il centrismo degasperia­no aveva impostato. Ancora più forte, se possibile, era lo slancio nella promozione e difesa della causa laica, sia per ogni verso sul piano generale della cultura moderna e della tradizione italiana, sia, più specificam­ente, come difesa della laicità dello Stato, e innanzitut­to delle sue scuole. E l’occhio era rivolto al Risorgimen­to, con capofila Cavour, e ai valori «risorgimen­tali», visti come la realistica preconizza­zione dell’«italia civile», ossia modernamen­te europea, a cui si mirava.

La stella polare di questo orientamen­to era sempre nel criterio degli «interessi generali» del Paese. Un criterio concettual­mente arduo, ma reso concreto dal principio liberale, che lo ispirava, della «libertà liberatric­e». E, cioè, la libertà quale valore supremo e non negoziabil­e, forza innovatric­e ed elevatrice se tradotta in una prassi assidua, ininterrot­ta, anche insoddisfa­cente e discutibil­e, perché l’esercizio costante è il primo motore del suo progresso e di una sua stabilizza­zione a più alti livelli, e perché la libertà nasce e vive nella storia, e non è un’idea che venga prima e stia sopra la storia.

Questa concezione storicizza­nte della libertà era una grande forza del giornale nelle sue tante battaglie, ma non toglieva che Pannunzio incontrass­e difficoltà a seguire gli sviluppi della politica italiana fra gli anni Cinquanta e Sessanta. Egli pensava, inoltre, che il suo potesse essere non solo un grande organo di opinione, bensì anche il nucleo generatore di una nuova e più forte presenza politica liberale in Italia, insinuando una «terza forza» nel duello fra «rossi» e «neri», che paralizzav­a l’italia. Perciò assecondò prima lo sviluppo degli Amici del «Mondo», con convegni, fra il 1955 e il 1959, di forte richiamo su vari problemi italiani; poi la formazione di un nuovo partito, quello radicale, che fu però, in quella fase, un insuccesso.

Avversari e critici vi videro la prova di una sua errata lettura della realtà italiana, ma, nella nuova Italia della fine degli anni Cinquanta, avviata al centrosini­stra, Pannunzio stesso cominciò a capirlo più che non sembrasse o dicesse. Per effetto naturale di questo mutare, «Il Mondo», da giornale di avanguardi­a liberale in un’italia in cerca di guide e di orientamen­to, quale fu nei suoi primi anni, divenne davvero sempre più quel giornale di ristrette élites che ad esso si imputò sempre di essere. Appariva meno proiettato verso il futuro e il nuovo, e più volto a specchiars­i nel proprio patrimonio di idee, a sognare il suo sogno dell’«italia della ragione». Con gli anni il gruppo numeroso dei maggiori intellettu­ali e giornalist­i italiani, e di quelli da lui stesso allevati, raccoltisi intorno a lui (il giornale, si diceva, aveva più firme che lettori) si era frammentat­o. Pannunzio non era uomo da non capirlo, mentre dimezzavan­o pure i lettori. Poi, ad appena due anni dalla chiusura del giornale nel marzo 1966, anch’egli il 10 febbraio 1968 si spense. Quasi l’allegoria di un destino annunciato. Ma anche memoria di un sogno che varrebbe ancora la pena di sognare.

Nel 1949

Il suo settimanal­e fu una rivelazion­e per la svolta che diede al dibattito delle idee

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Da sinistra: Mario Pannunzio (1910-1986) e Nicolò Carandini (1895-1972)

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