Corriere della Sera

Caja, basket al lavoro «Io medico e artigiano alleno senza proverbi»

Il coach di Varese: «Inseguo il massimo relativo»

- Roberto De Ponti

Prima Venezia campione d’italia, poi la ricca Milano, quindi il derby con Cantù: Attilio Caja, in due settimane la sua Varese ha colleziona­to tre scalpi prestigios­i del basket italiano.

«Sono sorpreso anch’io, obiettivam­ente non potevo aspettarmi tre vittorie». Soltanto sorpreso?

«No, anche gratificat­o, perché abbiamo raccolto quello che in altre partite non eravamo riusciti a raccoglier­e. So che è una frase fatta, ma quando si dice che il lavoro paga...».

Lei ha fama di essere un grande lavoratore. Un duro in palestra.

«Io sono duro con me stesso, non capisco perché non dovrei esserlo con gli altri. Pretendo da me, pretendo dagli altri. Se sto da 25 anni in palestra, e ho l’entusiasmo di ricomincia­re da capo ogni giorno, penso di avere il diritto di chiedere lo stesso impegno a chi lavora con me. È una questione di rispetto». Ed è sempre seguito, in questa sua filosofia?

«Lo sport non ammette scorciatoi­e. Più tempo dedichi a quello che fai, più riuscirai a migliorart­i». Com’è allenare Varese?

«Bello. Una piazza dove c’è passione. E competenza». E un grande passato...

«Io guardo sempre avanti».

Riuscite a fare risultati facendo quadrare i conti?

«Se mi chiede della parte societaria, io la vivo dall’esterno. È un consorzio, tante teste da mettere d’accordo, qualche momento difficile c’è, ma la squadra è sempre messa nelle migliori condizioni per lavorare al meglio. Quindi la viviamo bene».

Riguardand­o la sua carriera, non si è mai chiesto se ha perso occasioni importanti?

«Non mi pongo il problema. Io mi reputo fortunato, perché ho avuto l’occasione di fare quello che mi piace. In Italia ci sono tanti buoni allenatori, anche nelle categorie inferiori, io sono stato pescato da Giorgio Corbelli a Pavia in A2 e portato a Roma, dove sono rimasto per sei stagioni. Ho avuto l’opportunit­à, e gliene sono grato. Poi credo di esserquest­o mela giocata bene». Nessun errore?

«Tanti. Ma ho avuto il tempo di crescere. Ora invece...». Invece?

«Bastano due partite vinte per sentire parlare di fenomeni. Aspettiamo un attimo...».

Questione di immagine, a volte. Lei non crede di non essersi venduto benissimo?

«Avrei dovuto? Non lo so. Io sono così, molto di sostanza e poco di forma. Credo di essere un pragmatico, e forse in quanto a forma a volte mi sono sbagliato. Altri sono più bravi di me. Ma quando sotto il vestito non c’è niente, allora mi preoccupo, quando vedo che non conta quello che si dice ma il come lo si dice, allora non mi ci ritrovo. Per qualcuno questo è un difetto». In 25 anni lei ha vinto solo una Supercoppa.

«Battendo in finale la Kinder di Messina e Danilovic».

Poteva vincere di più?

«Ho un concetto che mi guida sempre, quello del massimo assoluto e del massimo relativo. Il massimo assoluto è quando vinci, ma a vincere è uno solo e non è mai facile. Il massimo relativo è quando tu hai una squadra da ottavo posto e la porti al sesto. A me

relativo». interessa, il massimo

Milano. È transitato Rimpianti? da Roma e da

«Solo quello di essere arrivato al momento sbagliato».

Milano l’ha licenziata dopo una semifinale scudetto persa con la grande Siena.

«Ci stava. Subentrava una nuova proprietà ed era giusto che ripartisse da capo con uomini suoi. Essere stato allenatore di Milano resterà sempre uno dei miei vanti». Le hanno affibbiato tante etichette.

«Lo so».

Caja è l’allenatore che prende le squadre in corsa...

«E io non la vedo come diminutio. Ti trovi a fare la minestra con gli ingredient­i che hanno scelto altri e devi provare a migliorarl­a. Mi sento come un medico: mi chiamano dal malato, devo fare una diagnosi in fretta e scegliere la terapia. Non è facile, ma mi è sempre riuscito. Mi piace». Caja è un aziendalis­ta...

«Se essere aziendalis­ta è ottimizzar­e le risorse che ho a disposizio­ne allora sì, sono aziendalis­ta. Troppo facile tagliare giocatori, più difficile migliorarl­i. Bisogna essere come artigiani: prima le cose guaste si gettavano e si sostituiva­no, in tempo di crisi magari si prova a ripararle». Caja sceglie soltanto soldatini...

«Mah, in 25 anni ne ho allenati tanti... Carlton Myers, che ancora oggi dice cose molto belle su di me. Danilo Gallinari, Melvin Booker... Jerome Allen l’ho allenato a Roma, oggi è assistente ai Boston Celtics e ha dichiarato di aver preso molti concetti da me. E questi sono giocatori che ti pesano, mica gli puoi raccontare i proverbi». Una frecciata agli allenatori affabulato­ri?

«Per carità!».

Che cosa le piace che dicano della sua squadra?

«Che in campo ha un senso, un’identità».

Con quale obiettivo

«Il massimo relativo, sempre».

Io un duro in palestra? Chiedo molto a me stesso, pretendo molto anche da chi mi sta intorno

 Vincere per me significa prendere una squadra da ottavo posto e farla arrivare sesta: tutto è relativo

 Sono molto di sostanza e poco di forma, altri parlano più di me: ma se sotto il vestito non c’è nulla mi preoccupo

 ?? (Ciamillo e Castoria) ?? Time out Attilio Caja, 56 anni, durante un time out con i giocatori della Openjobmet­is Varese
(Ciamillo e Castoria) Time out Attilio Caja, 56 anni, durante un time out con i giocatori della Openjobmet­is Varese

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