Il fútbol secondo Lucas «Giocavo per strada La fame è la mia forza»
Torreira: «Alla Sampdoria sono diventato adulto»
Le abilità pallonare di Lucas Torreira, una delle perle più preziose di questa serie A, sono fiorite sulla strada di un luogo di frontiera dell’uruguay: «A casa eravamo sei fratelli: ogni giorno arrivavano cugini, amici, insomma era un gran casino... Così papà quando voleva riposare ci mandava tutti in strada a giocare a calcio. Mi è piaciuto, non ho più smesso e ne ho fatto una professione».
Bastasse la strada, saremmo tutti campioni...
«Be’, sì, io avevo anche il talento. Ma soprattutto voglia di imparare. Io sono uno che guarda e ascolta tanto i migliori, e non parlo solo di calcio. Amo il basket, tifo Golden State e mi piace rivedermi in Stephen Curry: piccolo contro i giganti, ma con quella forza dentro che lo rende speciale».
Come lei per la Sampdoria, della quale a 21 anni è già diventato un punto fermo, secondo giocatore più impiegato da Giampaolo.
«Io ci metto passione e fame, l’allenatore la fiducia in me. E se senti fiducia, non puoi che ripagarla».
È uno dei centrocampisti più bravi della serie A, eppure nasce come punta/trequartista che segna. Il Tevez uruguagio, dicevano.
«Nella Primavera del Pescara allenato dal fratello di Giampaolo facevo la seconda punta. L’idea di cambiarmi ruolo l’ha avuta Oddo, che guidava la prima squadra. Mi vede e mi fa: “Da attaccante puoi arrivare al massimo in C, perché non provi davanti alla difesa? Sei cattivo, hai tocco, sai giocare verticale...”».
Ed è fra i più abili in serie A a subire fallo.
«Quella è un’arte sottovalutata: servono pensiero e furbizia. Per il modo di giocare di Giampaolo, dalle mie parti in campo c’è un gran traffico: io recupero tante palle e poi, se serve, faccio respirare la squadra subendo i falli».
Ma quanto è stato duro rinunciare al sogno del gol?
«Molto, perché tutti giocano per quello. Però ho intuito che la svolta mi avrebbe cambiato la carriera. E mi sono applicato nel nuovo ruolo».
Sa che anche Pirlo da giovane era un attaccante?
«Eh, magari fossi come lui... I riferimenti comunque sono quelli: restando agli uruguaiani, Gargano e Pizzarro».
Qual è il senso del fútbol per l’uruguaiano?
«La garra, la fame, il pallone nel sangue. Su quella strada ci sono andato a tre anni e già sognavo»
Che cosa?
«La mia squadra di quartiere, il 18 de Julio, e il Boca Juniors, la Bombonera, i tifosi della Doce: sogno ancora di andarci un giorno, se non da giocatore da spettatore».
Fray Bentos non è un posto qualunque.
«Certo, è il posto più bello del mondo! È sul Rio Negro, al confine, gli argentini ci vengono in vacanza. Una città che vive di calcio: tutti i derby di questo mondo scompaiono in confronto ai nostri. Io ci torno appena posso».
E con i primi guadagni ha fatto un gran regalo a papà Ricardo.
«Una macelleria, “La 34”, in onore del mio numero di maglia. L’ho rilevata e ristrutturata: papà è il capo, i miei fratelli collaborano».
Playmaker in campo, futuro imprenditore nella vita? «Un giorno vorrò fare qualcosa per la mia squadra: magari il presidente, e aprire una scuola calcio per rendere ai bambini quello che ho avuto la fortuna di trovare io».
Da Fray Bentos viene anche il suo compagno alla Samp, Gaston Ramirez.
«Incredibile, eh? Da un posto di 25 mila persone due calciatori professionisti, entrambi alla Sampdoria. Gaston poi era un mio idolo già prima che ci conoscessimo».
In Uruguay invece pochi ancora conoscono lei.
«Capita, se vieni da una terra di esportatori. Io ho giocato solo 10 mesi a Montevideo e poi sono partito. Ora però grazie alla Samp il mio nome (Afp)
Nasco punta, ma ho capito che era in mezzo al campo che avrei svoltato. Come Pirlo? Magari...
Papà radiocronista racconterà l’uruguay al Mondiale e io vorrei seguirlo... Intanto gli ho regalato una macelleria
comincia a girare anche là. E infatti adesso qualche giornalista che viene a intervistare Ramirez per il Mondiale si ferma pure da me. Chissà...».
Intanto un Torreira al Mondiale ci va sicuro.
«A papà è appena arrivato l’accredito e mi mette pressione: “Ora tocca a te, dai che ci andiamo assieme”».
Perché papà fa il radiocronista sportivo.
«Sì, segue la Nazionale e le squadre uruguaiane nella Libertadores. Ha anche raccontato il gol di Godin che ha eliminato l’italia all’ultimo Mondiale. Come gridava! Tra l’altro su corner proprio del mio amico Gaston...».
Papà ha mai raccontato una sua partita?
«Sì, al mio esordio a 14 anni. Con gli avversari c’era un mio fratello. Mancava solo un parente arbitro... Ma papà è bravo e imparziale, anzi: per non sembrare troppo buono finisce per essere molto critico. Meglio così. Apprezzo le critiche di chi mi vuole bene». Com’è la sua Genova? «Bellissima, adoro il mare e la mia casa non è mai vuota. La mia seconda occupazione ormai è fare la guida turistica a famigliari e amici che vengono dall’uruguay».
Le mancano?
«Un po’ sì. Lasciare casa a 17 anni per un altro mondo ti fa crescere in fretta: io mi sento più adulto della mia età, ma il richiamo delle radici mette un po’ di nostalgia. Mi aiuto con il mate: lui è un amico che ti conforta sempre».
A proposito di viaggi, la Sampdoria dove andrà?
«Può benissimo prendersi l’europa. I risultati dimostrano che ce la meritiamo».
E Torreira? Ferrero dice che lei ora vale 50 milioni.
«Io voglio sempre migliorare: ora c’è la Sampdoria, il resto non mi tocca. Vengo dalla fame e dalla polvere, non mi condizionerà mai un cartellino del prezzo».