«Miasmi, via quei migranti» Ma le case senza fogne sono quelle di chi protesta
Genova, ospiti del prete nell’ex asilo. Il giudice: restino lì
I signori di Multedo GENOVA sono «la gente». Ma non tutta la gente. Tantomeno quella del loro quartiere. Non basta sostenere di «rappresentare la collettività e l’interesse pubblico» per essere «legittimati ad agire». Bisogna anche dimostrarlo.
La sentenza del tribunale civile che per il momento chiude la vicenda dell’accoglienza di 10 migranti in un asilo chiuso da due anni contiene spunti interessanti, per chi li vuole vedere, o leggere. Multedo è un borgo di 4mila abitanti nel ponente genovese, stretto tra Cornigliano, Pegli, un casello autostradale, i depositi chimici, il Porto Petroli, una piscina e un asilo abbandonati. Un’ex roccaforte rossa dove alle ultime amministrative la Lega ha fatto il pieno, risultando il partito più votato. Nel settembre 2017, come da piano della Prefettura, nella storica scuola gestita dalle Suore della Neve arrivano 10 giovani profughi. Nascono comitati contrari alla loro accoglienza, gestita da don Giacomo Martino. Ai gazebo, vengono raccolte 200 firme, tradotte in un ricorso al tribunale dall’avvocato Alberto Campanella, capogruppo di Fratelli d’italia in Comune. «Io non abito in quella zona, ma sbaglia chi vede un intento politico nella nostra iniziativa. Non faccio politica, sono padre di un bimbo di 2 anni. Quella gente ha diritto di riavere indietro il proprio asilo».
L’argomento forte del ricorso era legato a una presunta emergenza sanitaria che rendeva urgente la restituzione della struttura o l’allontanamento dei suoi ospiti. I 10 migranti avrebbero scaricato i loro bisogni «a cielo aperto», direttamente nelle acque bianche del Rio Rostan, un rivo tombato che attraversa Multedo. Secondo lo stesso ricorso, nella sua lunga storia l’asilo, chiuso nel 2016 per il calo delle iscrizioni, passato da 83 nel 2010 a quaranta nel 2015, non sarebbe mai stato collegato alla rete. «Ma la pipì dei bambini è pipì degli angeli» argomenta l’avvocato Campanella. «C’è differenza con la cacca di giovani adulti». Il tribunale ordina una verifica presso la Asl. Passano alcuni mesi e intanto l’ufficio Migrantes della Curia provvede a mettere in regola gli scarichi dell’asilo. La Asl fa presente però che a non essere allacciati alla rete fognaria sono anche gli scarichi di alcune palazzine poco distanti dall’asilo, dove vivono anche alcuni firmatari del ricorso, e allega i documenti agli atti affinché si possa porre rimedio. I cattivi odori e gli olezzi che talvolta si levano dal sottosuolo dove scorre il Rio Rostan sono autoctoni.
Sul tavolo c’era poi il delicato tema della sicurezza nazionale. L’asilo confina con un sito del Petrolchimico dove vengono stoccati carburanti e petrolio. I muri che ne delimitano il perimetro sono alti e sormontati dal filo spinato. Nel ricorso si sostiene che i migranti avrebbero potuto acquistare un drone, leggere su Internet un manuale sulla costruzione di bombe incendiarie e prepararne una che avrebbe potuto «distruggere 8 chilometri lineari di città». Il giudice liquida l’argomento in cinque righe. «I ricorrenti, lungi dal provare che la presenza di migranti nell’immobile in questione possa incidere sulla sicurezza dei cittadini, aggravando il pericolo derivante da siti di stoccaggio ad alto rischio di incendio ed esplosione, si sono limitati a compiere mere illazioni, come tali prive di alcun valore».
La sentenza mette in dubbio anche la titolarità dei ricorrenti a parlare per conto della «gente» che dicono di rappresentare. «Essi si definiscono “i signori che rappresentano la collettività e l’interesse pubblico di Multedo” e deducono, nel paragrafo dedicato alla “legittimazione ad agire”, che “la comunità… si è vista inaspettatamente deprivata di una struttura fondamentale quale un asilo d’infanzia e i cui membri hanno già manifestato la propria intenzione di iscrivere nell’asilo medesimo”; tuttavia, non deducono né provano di essere abitanti di Multedo e genitori di figli in età da asilo». Alcuni di loro, osserva il giudice, non sono neppure residenti nel quartiere. E tra i firmatari che invece ci vivono «non v’è alcuna allegazione né prova della circostanza che siano genitori di figli in età pre-scolare».
Campanella assicura che la storia non finisce qui. «Resto convinto del fatto che la pipì di un bimbo non sia paragonabile a quella di un adulto. Infatti la curia è intervenuta in corso d’opera. Faremo un altro ricorso centrato sugli affari di quel prete, guadagna più dell’intera Multedo». Il tribunale ha condannato i ricorrenti a pagare le spese di lite alla controparte. Sono 7.290 euro. Dice don Giacomo che li userà per una giusta causa.
La gente
La sentenza mette in dubbio pure la titolarità dei ricorrenti a parlare a nome della «gente»