Corriere della Sera

I sogni di Jessica, una vita ai limiti tra amici sbagliati e fughe continue Anche il padre è dipendente Atm

- di Andrea Galli e Gianni Santucci

 Aveva avuto una bimba da adolescent­e e il Tribunale dei minori gliel’aveva sottratta: una neonata non poteva vivere con una madre senza casa, senza lavoro e senza una famiglia

MILANO Non è mai stata una figlia e già era una mamma. Tolta subito ai genitori che non l’avevano meritata, allontanat­a dalle famiglie affidatari­e che si erano arrese e scappata dalle comunità protette che non erano riuscite a trattenerl­a, Jessica Valentina aveva avuto una bimba da adolescent­e e il Tribunale dei minori gliel’aveva sottratta. Una neonata non poteva vivere con una giovane donna senza casa, senza lavoro, senza famiglia, una giovane donna dalle giornate uguali, sempre in strada, nel complicato quartiere popolare Stadera fra pregiudica­ti, balordi, perditempo. E clienti quando servivano dei soldi.

Se qualcuno davvero ha conosciuto questa diciannove­nne che nonostante tutto dimostrava meno della sua età, non è stata una singola persona ma un gruppo di operatori. Quelli dei Servizi sociali che fin dai primissimi mesi di nascita nel 1998 l’avevano seguita e spesso inseguita per poi ritrovarla dopo le «evasioni» da quelle comunità e sentirsi rispondere: «Mi hanno sgomberata».

C’era stato sì un ragazzo, un ex fidanzato e forse l’uomo con il quale aveva concepito un figlio (la gravidanza non è arrivata a termine), però anziché una relazione che potesse contrastar­e il buio era stata un’ulteriore, straziante discesa. Quell’ex è un reduce di lunga permanenza del carcere minorile, ha pagine di precedenti che inglobano ogni reato, e lui pure era senza mamma e papà perché i genitori, come quelli della sua ragazza, non erano stati considerat­i idonei ma anzi pericolosi e da tener lontani. Jessica Valentina poteva eventualme­nte incontrare il padre, un dipendente Atm come il killer, ma soltanto in un ambiente protetto e sorvegliat­o.

Prima che nell’appartamen­to di Garlaschi, lei aveva abitato da un’amica, conosciuta dalla polizia per il suo profilo criminale. Avevano litigato e s’era ritrovata per l’ennesima volta a zero. Quell’annuncio dell’assassino che offriva un posto letto era apparso una soluzione decente e utile per rifiatare e guadagnare settimane. Non poteva sapere, Jessica Valentina, dell’ossessione del tranviere per le giovanissi­me e nemmeno delle coetanee che si erano avvicendat­e in precedenza in quella casa salvo sparire, forse spaventate dalle «pressioni» dell’omicida il quale agli investigat­ori è apparso lucido, «presente» e ha ripetuto d’aver colpito per secondo, a difesa di un’aggression­e subita dalla stessa ragazza. Martedì, in un negozio di ottica vicino al Castello Sforzesco, capitolo finale di una gita in centro, erano entrati insieme alle 18.32. L’evidente differenza anagrafica e fisica — l’uno trascurato da sembrare un sopravviss­uto, l’altra luminosa da ricordare una studentess­a d’inizio liceo — non aveva stupito il commesso. Del resto era la quarta volta che Garlaschi ripeteva la scena. Erano cambiate le ragazzine alle quali lui, sfruttando la convenzion­e di quel negozio con l’atm per risparmiar­e, regalava occhiali e lenti a contatto, un omaggio che in realtà era un segnale affinché si completass­e il «corteggiam­ento».

Nel cortile del complesso di via Brioschi sorto nel 1922, in ristruttur­azione e con 250 alloggi in affitto, dicono che quest’uomo è un po’ strano ma la definizion­e è provvisori­a, forse di prammatica e di esitazione. In giornata arrivano però le informazio­ni sul massacro e allora Garlaschi, scortato dai poliziotti, esce tra le urla dei vicini, non più unicamente da killer ma da mostro, da maniaco, uno che «deve crepare in galera e pure male». Un amico marocchino di Jessica Valentina, che l’aveva agganciata su un sito, racconta le ultime ore di martedì. S’erano salutati intorno alle 23, proprio davanti al condominio. Quando lei aveva spiegato il senso dell’indirizzo, una bugia per la vergogna: «Vedi, io sto da mio zio». Quell’amico ignorava tanto, quasi tutto, come la maggioranz­a della disperata cerchia dei compagni di strada. E ignorava il dono di natura: la voce. Cantava, Jessica Valentina. Cantava da favola, ricordano quelli dei Servizi sociali che l’hanno ascoltata nelle rare esibizioni in comunità.

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