I «due Papi» e l’armonia che la politica ha perso

Caro direttore, ho letto anch’io con emozione il messaggio che papa Benedetto ha rivolto ieri ai lettori del Corriere della Sera. Quel parlare sommesso, in punta di piedi, da parte di una così grande personalità smentisce lo spirito di un tempo assai più portato a stare sopra le righe.

Ho pensato anch’io, come accenna Massimo Franco, che i «due Papi» che in Vaticano convivono armoniosamente tra loro esprimono caratteri assai differenti. E probabilmente la loro stessa idea di governo della Chiesa contempla significative diversità di accenti e di contenuti. Queste diversità, tuttavia, restano sempre nei confini di una sintesi silenziosa e rispettosa.

Ora non vorrei mescolare il sacro e il profano. Ma viene da pensare a questo riguardo anche alla politica italiana e alla campagna in corso, votata a un inconcludente furore. Noi siamo uno strano paese, pieno di differenze che non sappiamo più come riconciliare. Non c’è quasi più nessuno — a parte il capo dello Stato — che si prodighi a smussare qualche spigolo e a rendere reciprocamente utili tutti quei particolarismi di cui ognuno di noi quotidianamente si nutre.

L’impegno politico dei cattolici ha avuto in passato questo significato. Di tessitura, appunto. Venuta meno quell’esperienza — con tutti i difetti che aveva — ci siamo chinati sul nostro orticello. Perdendo di vista quel senso dell’insieme che fa di noi un Paese, uno solo per tutti.

Le democrazie non sono l’unità dei sentimenti, ci mancherebbe. Tantomeno delle opinioni e degli interessi. Ma se il valore della democrazia risiede nell’altro, in chi non la pensa al modo nostro, allora occorre che la voce dell’altro la si ascolti, se ne abbia riguardo, e magari qualche volta ci si fermi a tacere. Dato che il pluralismo è fatto di voci e perfino di qualche silenzio.

Benedetto non intendeva certo parlare di queste cose. Ma chi ha a cuore la politica dovrebbe viverla per quello che è: l’organizzazione della nostra convivenza.