Corriere della Sera

DOMANI IN OGNI SCUOLA SI PARLI DELLE FOIBE

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Penso che per troppo tempo delle foibe si sia parlato troppo poco. Nel liceo della mia città si studiava molto, certo più di quanto non si faccia adesso; ma delle foibe non ci parlò nessuno, né il professore di storia, marxista che ci fece saltare il pensiero medievale passando da Plotino agli umanisti, né la professore­ssa d’italiano, monarchica che arrivò in classe piangendo il giorno in cui morì in esilio Umberto II. La prima volta che ne sentii raccontare fu da un compagno di università, figlio di un profugo che aveva lasciato Pola con migliaia di compatriot­i e la bara di Nazario Sauro. Per questo mi piacerebbe che domani, Giorno del Ricordo, in tutte le scuole italiane si parlasse delle vittime. Il silenzio in passato è stato rotto, sia pure di rado. Francesco Cossiga andò a Basovizza da presidente della Repubblica. Ciampi fece altrettant­o. Ricordo quando un superstite gettò un sasso nella foiba Gigante: il rumore della caduta, il tonfo sordo quando il sasso arrivò in fondo. Il numero dei morti non si conoscerà mai con esattezza. Si racconta che i comunisti titini usassero seppellire nelle foibe un cane nero, come per una maledizion­e. Nulla fa arrabbiare i parenti delle vittime quanto introdurre il nesso con le atrocità dell’occupazion­e italiana della Jugoslavia; che pure ci furono, e non vanno dimenticat­e. Ma nelle foibe non furono gettati «fascisti»; furono gettati italiani, proprio in quanto italiani. Chiunque portasse una divisa, anche solo di bidello. Tra loro molti erano antifascis­ti contrari alla cessione di quelle terre agli jugoslavi. Quanto ai profughi, non sempre furono accolti con la solidariet­à che meritavano.

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