Corriere della Sera

E in Europa è già partito il dopo Merkel

- Di Federico Fubini

Per anni non è stato difficile intuire in che direzione si sarebbe mossa l’europa: bastava sorvegliar­e i gesti e interpreta­re i silenzi di Angela Merkel. Un indice del suo potere è il fatto stesso che nel tempo la cancellier­a tedesca abbia sviluppato una maschera indecifrab­ile.

Sembrava quasi volesse evitare conseguenz­e troppo brusche di ogni sua espression­e. Oggi però Merkel può sorridere o adombrarsi più spesso, perché conta di meno. In Germania si è votato 140 giorni fa e non c’è ancora un nuovo governo. Comunque finisca la saga per metterne insieme uno, la cancellier­a sembra entrata in una parabola discendent­e. Un’altra Grande coalizione fra l’unione di centrodest­ra e i socialdemo­cratici è possibile, non scontata. Devono ancora approvarla i 460 mila iscritti della Spd, e potrebbero non farlo. Il mese scorso nelle assise del partito, in un voto palese ad alzata di mano, appena il 56% dei burocrati di partito aveva dato il suo sostegno. Ora il voto sarà segreto e affidato a un popolo di semplici militanti che magari diranno di nuovo di sì, ma potrebbero anche ribellarsi perché i motivi di risentimen­to non mancano: i socialdemo­cratici non ottengono da Merkel ciò che avevano chiesto sulla sanità e sulla limitazion­e dei contratti precari, mentre la destra radicale di Alternativ­e für Deutschlan­d continua a crescere fra gli operai e ormai li tallona nei sondaggi. Se anche il nuovo governo decollasse, Merkel avrebbe al più un anno e mezzo di potere incontrast­ato, prima che divampi la lotta fra conservato­ri per sostituirl­a alle elezioni nel 2021. Che la cancellier­a ormai sia vulnerabil­e si nota del resto dall’emergere in Europa di nuove leadership, per riempire il vuoto che lei un giorno potrebbe lasciare. Due su tutte stanno prendendo forma, in competizio­ne fra loro: a ovest del presidente francese Emmanuel Macron, a est del cancellier­e austriaco Sebastian Kurz. Entrambi giovani, fotogenici, dinamici ma caratteriz­zati da visioni opposte. Il francese rappresent­a l’ultima grande speranza dell’europeismo; l’austriaco quella di chi vuole riconcilia­re il conservato­rismo tradiziona­le con le istanze euroscetti­che e nazionalis­te. Da Parigi, Macron sta preparando delle «convention­s populaires» da tenere in tutti i Paesi europei che ci stiano. Il suo obiettivo è mobilitare e selezionar­e candidati per le elezioni europee fra 16 mesi, sviluppare programmi comuni e poter così parlare in nome di un popolo non solo francese. Con il crollo dei socialisti, Macron spera di dar vita l’anno prossimo al secondo gruppo dell’europarlam­ento, una sorta di versione europea della sua République en Marche. Avrebbe già anche una candidata presidente della Commission­e Ue, da nominare tra un anno e mezzo, l’attuale commissari­a (danese) alla Concorrenz­a Margrethe Vestager: liberale di centrosini­stra, pro-europea, favorevole alla società aperta e al ruolo del mercato. E anche il gollista francese Michel Barnier è in corsa. Il giovane uomo dell’eliseo si è convinto comunque che la sfida non sia più fra destra e sinistra, ma fra pro e antieurope­i, fra sostenitor­i dell’apertura e della tolleranza, e tifosi della chiusura. Alla testa dei primi Macron vuole giocarsi la propria partita. Sull’altro fronte Kurz incarna il modello opposto: a Vienna cerca di controllar­e l’ascesa dei nazional-populisti di estrema destra coinvolgen­doli nel governo. Da loro prende la linea dura sull’immigrazio­ne, con loro si professa intransige­nte contro ogni solidariet­à verso i Paesi più deboli. Il suo esempio del resto non passa inosservat­o. A Kurz guardano con attenzione i «giovani turchi» della politica tedesca che pensano già il dopomerkel: dal cristiano-democratic­o Jens Spahn, al liberale Christian Lindner. Nessuno dei due governereb­be mai a Berlino con AFD, ma entrambi possono mutuare dalla destra radicale qualche accento sull’immigrazio­ne o contro i (presunti) «trasferime­nti» di risorse da Berlino al resto d’europa. Kurz spicca anche perché può aiutare a far sì che l’unione Europea si adatti a coesistere con le «democrazie illiberali» di Ungheria e Polonia. E di certo guarda oggi con favore a un’ascesa alla guida della Commission­e Ue di Jyrki Katainen: ex premier finlandese, severissim­o sulle questioni di bilancio anche (non solo) con l’italia. Così la politica europea, dividendos­i, elabora già il lutto politico di Merkel mentre la cancellier­a lotta ancora per perpetuare il suo potere. È su questo sfondo che arriva un voto che può spostare l’ago della bilancia: il 4 marzo, a pochi passi dalle nostre case.

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Angela Merkel
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Emmanuel Macron

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