Brexit, Barnier e la transizione ormai in bilico
La transizione «dolce» dopo la Brexit non è affatto assicurata. Anzi, se il disaccordo fra Londra e Bruxelles persiste, la Gran Bretagna uscirà dall’unione Europea il 29 marzo 2019 senza nessun ammortizzatore. Lo ha messo ieri in chiaro Michel Barnier, il capo negoziatore per la Ue: «Il Regno Unito deve accettare le ineluttabili conseguenze della sua decisione di uscire», ha scandito. Eppure a prima vista intendersi sul periodo di transizione sembrava la cosa più facile: la stessa premier Theresa May lo aveva chiesto per consentire alle aziende di adattarsi senza scosse alla nuova situazione. Ma l’europa vuole che durante questa fase, che dovrebbe durare fino alla fine del 2020, sia preservato in tutto e per tutto lo status quo: invece il governo britannico vorrebbe limitare da subito i diritti dei cittadini europei e chiede di avere un diritto di veto su eventuali nuove leggi comunitarie. Un disaccordo che Barnier ha definito «sostanziale». A ciò si aggiunge la questione nordirlandese: se Londra esce dal mercato unico, sarà inevitabile un confine rigido tra l’ulster a Nord e la Repubblica d’irlanda a Sud, che a parole tutti vogliono evitare. A questo punto si pone una questione di tempi: l’obiettivo era accordarsi sulla transizione entro marzo per poi raggiungere un’intesa-quadro definitiva entro ottobre. Ma ora tutto sembra tornare in forse. E gli europei sottolineano che il tempo stringe: non c’è nessuna volontà politica di allungare i tempi della Brexit, perché la Ue vuole certezze e sta già cominciando a elaborare i bilanci futuri senza la Gran Bretagna. Anche le voci su un secondo referendum vengono viste a Bruxelles come una inutile distrazione: a Londra si chiede di fare delle scelte, e presto. Ma intanto i rischi di una Brexit «disordinata» crescono: uno scenario che infliggerebbe un colpo all’economia britannica ma anche a quelle dei Paesi europei, Italia inclusa. Non a caso ieri i mercati valutari hanno reagito nervosamente.