I dilemmi di Moneta, Nobel per la pace e interventista
Non era facile, nella prima metà del XX secolo, essere al tempo stesso patrioti e pacifisti. Ci si poteva trovare di fronte a dilemmi che laceravano le coscienze. Esemplare, da questo punto di vista, il caso di un nostro connazionale morto esattamente un secolo fa, il 10 febbraio 1918: Ernesto Teodoro Moneta, l’unico italiano ad aver ricevuto il premio Nobel per la pace nel 1907.
Risulta abbastanza eloquente il titolo che la Fondazione Anna Kuliscioff ha dato a un’interessante antologia di suoi scritti: Un pacifista nella guerra. Sì, perché Moneta si battè lungamente per favorire la soluzione negoziata dei conflitti internazionali, ma in seguito finì per appoggiare l’impresa coloniale italiana in Libia e poi l’intervento del nostro Paese nella Prima guerra mondiale.
Così divenne uno dei bersagli favoriti di Giuseppe Scalarini, corrosivo disegnatore satirico del quotidiano socialista «Avanti!», ostile a ogni guerra. Proprio alcune delle sue feroci vignette sono tra i pezzi forti della mostra documentaria su Moneta organizzata dalla Fondazione Kuliscioff all’archivio di Stato di Milano (via Senato 10), che sarà aperta dal 14 febbraio al 5 marzo con ingresso gratuito.
Nato a Milano nel 1833, Moneta aveva partecipato da ragazzo alle Cinque giornate nel 1848, poi si era unito alla spedizione dei Mille nel 1860. Intrapresa la carriera militare, aveva combattuto a Custoza, nella sfortunata battaglia contro gli austriaci del 1866. Subito dopo aveva detto addio alle armi e nel 1867 era diventato giornalista, assumendo la direzione del quotidiano milanese «Il Secolo», che aveva tenuto fino al 1895.
Nello stesso periodo era cominciato lo strenuo impegno pacifista di Moneta, con la creazione di associazioni, la pubblicazione di un almanacco annuale e della rivista «La Vita Internazionale», l’organizzazione di congressi. Attività che lo avevano proiettato sulla scena mondiale, tanto da procurargli l’assegnazione del Nobel.
Poi però, benché dubbioso, Moneta scelse di non opporsi alla guerra dell’italia alla Turchia per la Libia. E il timore dell’imperialismo tedesco, che aveva aggredito il Belgio neutrale, lo indusse a caldeggiare l’intervento nella Grande guerra. Una figura complessa, dunque, di cui il 14 febbraio si discuterà anche in una tavola rotonda, sempre all’archivio di Stato (ore 15), con Barbara Bracco, Giampaolo Romanato e Angela Stevani Colantoni. Coordina il presidente della Fondazione Kuliscioff, Walter Galbusera.