Corriere della Sera

SECOLO A TINTE FORTI

L’appuntamen­to Una mostra a Forlì mette in luce le mille variazioni artistiche di un’epoca drammatica che si concluse con due giganti DAL SACCO DI ROMA, AI DIKTAT DEL CONCILIO LE SCELTE DEI PITTORI (FINO A CARAVAGGIO)

- di Francesca Bonazzoli

ÈRitorno al vero Tramontato il Manierismo, il Merisi e Annibale Carracci ridiedero vigore all’arte con l’«imitazione del naturale»

probabile che, per quanto amplificat­o dalle immagini video, l’attacco alle torri gemelle di New York non lascerà una cicatrice indelebile nella storia dell’occidente come quella prodotta dal sacco di Roma, ancora ben riconoscib­ile, dopo cinquecent­o anni, persino in espression­i come «sono passati i Lanzichene­cchi». Lo scisma di Lutero nel 1517 e il sacco della città eterna nel 1527 ad opera dei protestant­i assoldati dal cattolicis­simo re di Spagna, Carlo V, fu infatti uno shock tale che incrinò per sempre le serene certezze del Rinascimen­to cambiando non solo il pensiero, ma anche l’estetica del tempo, come non è avvenuto in modo altrettant­o radicale dopo l’11 settembre.

In seguito al Sacco, durato nove mesi con atrocità inenarrabi­li, un’ombra di malinconia deturpò per sempre la bellezza perfetta che per un breve periodo, con gli affreschi della cappella Sistina di Michelange­lo e della Scuola di Atene di Raffello, aveva riportato la cristianit­à ai fasti dell’età classica. Niente fu più come prima. Incertezza, irrazional­ità e disorienta­mento produssero un’arte stanca che mescolava stili diversi senza il collante delle idee. Morto Raffaello nel 1520 e Leonardo nel 1519, tutti guardavano a Michelange­lo, tormentato a sua volta da ansie religiose, come al più autorevole sopravviss­uto della «grande maniera». Solo un rivale gli faceva ombra da Venezia: Tiziano.

Intorno a questi due giganti si muoveva una moltitudin­e eterogenea di pittori di cui dà conto la mostra forlivese cercando di mettere ordine fra diversi idiomi che avevano in comune un’unica attitudine stilistica chiamata Manierismo. Importato dal linguaggio di corte medievale in lingua d’oïl, manière significav­a disinvoltu­ra, eleganza, raffinatez­za, grazia cortese, ma nel XVI secolo il termine passò nel vocabolari­o artistico come sinonimo di artificio. L’arte si disinteres­sò all’imitazione della natura e si rifugiò nel capriccio e nell’irrazional­e. Diventò «cosa mentale» e a poco a poco si fece talmente ermetica ed elitaria da rendere necessari i manuali di iconologia per interpreta­re enigmi e rebus di una decorazion­e carica di fiabe mitologich­e, allegorie ed emblemi.

Nelle strade, però, le carestie, la povertà e le malattie esasperava­no lo scandalo di una Chiesa sfacciatam­ente peccaminos­a e ricca. Consapevol­e di dover avviare una politica riformista e deciso a mettere un argine alle simpatie per il Protestant­esimo, Paolo III, ammiratore di Erasmo, convocò nel 1545 il Concilio di Trento che si concluse soltanto nel 1563, ma dal quale uscì la cosiddetta Controrifo­rma. Ai pittori furono dettate precise norme su come decorare le chiese: l’arte doveva tornare a parlare agli analfabeti con rappresent­azioni sem- plici e didattiche; basta col capriccio, l’irrazional­ità, le fiabe pagane, e persino i nudi di Michelange­lo nella Sistina furono ricoperti.

Naturalmen­te, come si vede dall’antologia di autori in mostra, tali norme codificate in tempi lunghi, vennero declinate in modi diversi: si va dallo stile artificios­o e pio di Scipione Pulzone, all’assorbimen­to dell’arte nordica di Dürer in pittori tra loro differenti come Pontormo, Lotto e Luini, al trionfo della correttezz­a accademica in Jacopo Zucchi o nel cavalier d’arpino. Ma sul finire del Cinquecent­o questo linguaggio stanco si esaurì in formule vuote e ripetitive e in tale scenario stagnante apparvero finalmente due figure capaci di ridare vigore all’arte grazie al ritorno all’«imitazione dal naturale»: Annibale Carracci e Michelange­lo Merisi.

Sul breve periodo Caravaggio sembrò vincerla su Annibale perché divenne subito l’idolo dei giovani pittori di tutta Europa grazie alla sua radicale ricerca del vero che spazzava via la prudenza del «decoro» raccomanda­to dalla Chiesa.

Ma dopo la sua morte nel 1610 fu lo stile ampio, luminoso ed armonioso dispiegato da Carracci nella volta di Palazzo Farnese ad avere la meglio e ad ispirare le mirabilia dei futuri soffitti barocchi.

La ferita del Sacco dei protestant­i cominciò a rimarginar­si, ma lasciò una cicatrice che sfregiò per sempre l’armonia e la grazia neoellenic­he riconquist­ate a Roma per il tempo breve della vita di Raffaello.

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Federico Barocci, Deposizion­e dalla croce, 1567-1569, olio su tela. Perugia, Cattedrale di San Lorenzo
Il trionfo della fede Federico Barocci, Deposizion­e dalla croce, 1567-1569, olio su tela. Perugia, Cattedrale di San Lorenzo

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