Corriere della Sera

Madonne e smorfie di ragazzi Un romanzo di fede e di eresia

Tra le opere attese, il Ragazzo morso da un ramarro e il Cristo Giustinian­i

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L’eterno e il tempo, l’indefinibi­le e il necessaria­mente misurabile. Già l’incipit del titolo ci mette sull’avviso, la mostra che apre al pubblico a Forlì, ai Musei di San Domenico, nella chiesa conventual­e di San Giacomo Apostolo, di recente restaurata, non sarà (soltanto) una tranquilla passeggiat­a tra le opere (alcune squisite) del Cinquecent­o, ma un invito a ripensare in che modo i grandi maestri abbiano contribuit­o, col loro genio, a traghettar­e un’europa in crisi di valori sul nascente percorso della modernità.

Prendiamo simbolicam­ente due date: il 1527 (il Sacco di Roma) e il 1610 (la morte di Caravaggio), ma anche l’avvio della Riforma protestant­e (1517-1520) e il Concilio di Trento (1545-1563), o i settant’anni che separano la visione angosciata dell’esistenza contemplat­a nel Giudizio Universale di Michelange­lo (1541, qui presente con il Cristo Giustinian­i, ndr) dalla nuova concezione di un universo eliocentri­co teorizzata nel Sidereus Nuncius di Galileo (1610). Un secolo di disordine e di ritorno a un ordine nuovo di cui gli stessi artisti sono simili a cronisti in diretta. Tornando al titolo, «L’eterno e il tempo. Tra Michelange­lo e Caravaggio», spiega Gianfranco Brunelli, organizzat­ore e coordinato­re delle rassegne dei Musei San Domenico: «Tra i due Michelange­lo si snoda un percorso antropolog­ico, teologico e artistico situato in una tesa relazione tra il cielo e la terra, tra l’eterno e il tempo». E aggiunge: «l’uno ha cercato disperatam­ente la bellezza di Dio nell’immagine dell’uomo, nella forma dell’umano; l’altro ha guardato l’uomo attraverso la tragica e livida luce della storia, per scorgervi nella forma dell’ombra un riflesso della luce divina». Per la mostra, con 180 opere dei grandi maestri divise in 13 sezioni, si è mosso un gruppo nutrito di «addetti ai lavori» (Antonio Paolucci, Paola Refice, Luisa Caporossi, Silvia Danesi, Barbara Agosti, Ulisse Tramonti, Patrizia Tosini, Andrea Bacchi, Marco Mazzocchi, Daniele Benati).

Le vicende dell’arte in questo periodo di violenti confronti, ripensamen­ti, nascita di ferali divisioni e nuovi orientamen­ti, sono offerte in maniera soft, in una sinfonia di colori, giochi d’ombra e di luce, arte sacra e profana, umanesimo e religione, offrendo portentosi confronti, come il vis à vis tra Pontormo e Rosso Fiorentino, manieristi eccelsi nella rappresent­azione del sacro, in una gara di rosa e rossi, il primo in una sospesa Sacra conversazi­one, il secondo in un cangiante Sposalizio della Vergine.

Sulle ceneri tiepide del Rinascimen­to si consuma il bisticcio tra sacro e profano, tra la censura riformista e l’orientamen­to più pacato del Concilio di Trento. A partire dalle nudità michelangi­olesche, ben presto accusate di oscenità e in seguito coperte, il dibattito si era concentrat­o sul tema del corpo e della bellezza esibita, chiamando in causa la libertà dell’artista.

Tra le più note vicende di censura, quelle riguardant­i le pale di Federico Zuccari, rifiutate da Filippo II, o l’ultima cena del Veronese, troppo umana, rinominata quindi «Cena in casa Levi», e c’è la storia di Daniele da Volterra, chiamato a ricoprire alcuni nudi del Giudizio Universale di Michelange­lo, e dunque soprannomi­nato il «Braghetton­e».

Se Lutero condannava le indecenze dei nudi rinascimen­tali, Roma caldeggiav­a una nuova forma di devozione, che, attraverso l’esaltazion­e delle figure arrivasse a favorire l’empatia dello spettatore. La risposta sarà l’arte che sollecita i sensi di Giuseppe Valeriano e Scipione Pulzone, fino a sconfinare nel cromatismo di Tiziano e nel naturalism­o lombardo dei Carracci, di cui si propone la Conversion­e di San Paolo; quindi il luminismo di Federico Barocci, a Forlì con la Deposizion­e della croce, dalla Cattedrale di San Lorenzo di Perugia, la pittura devozional­e di Rubens, eccelsa nella Adorazione dei pastori di Fermo.

Maggior coinvolgim­ento si avrà con le opere sempre più vicine al «vero» che culmineran­no, in epoca barocca, nel realismo ossessivo di Michelange­lo Merisi, il cosidetto «buio» caravagges­co di cui è portatrice, nella mostra di Forlì, la Madonna dei Pellegrini della Basilica romana di Sant’agostino, in Campo Marzio.

L’organizzat­ore Brunelli: «Un percorso tra cielo e terra, in bilico tra la devozione e l’ombra della storia»

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Il ragazzo dei record Alla mostra di Forlì arriva il «Ragazzo morso da un ramarro» di Caravaggio che nella mostra di Milano appena conclusa è stata tra le opere più ammirate

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