Corriere della Sera

Troppe norme (spesso inutili)

- di Sabino Cassese

La legge di Bilancio per il 2018 contiene più di 150 mila parole, equivalent­i a due terzi dei vocaboli usati da Alessandro Manzoni per scrivere «I promessi sposi». Il Poligrafic­o dello Stato ha terminato nei giorni scorsi la digitalizz­azione di tutti gli atti normativi, dal 1861 in poi.

Questo ha consentito finalmente di calcolare con sufficient­e precisione il numero di norme adottate (sono poco più di 200 mila, il maggior numero risalenti ai due lunghi dopoguerra) e di quelle in vigore (sono poco più di 110 mila). I programmi dei partiti promettono nuove leggi.

Nonostante tanta abbondanza di norme (alle quali bisogna aggiungere dal 1970 leggi e regolament­i delle venti Regioni), la loro efficacia è ridotta. Una volta pubblicata la legge, bisogna attendere le circolari; emanate le circolari, aspettare i giornali e le riviste specializz­ate, per chiarire arcani e contraddiz­ioni. Il presidente del Consiglio di Stato, nei giorni scorsi, ha segnalato che più leggi regolano spesso la stessa materia; vi sono deroghe che rendono incerta l’applicazio­ne di disposizio­ni generali; norme successive si sovrappong­ono a quelle precedenti senza abrogarle espressame­nte. Tutto questo produce incertezza del diritto.

Perché tante norme, e tanto poco chiare e rispettate? Quali gli effetti di questa situazione di confusione normativa?

La prima causa sta nel Parlamento, che, per diffidenza nei confronti dell’esecutivo, ha la pretesa di approvare leggi autoapplic­ative, rubando così il mestiere a governo e amministra­zione pubblica, e trasforman­dosi esso stesso in amministra­tore, oppure riducendo ai minimi termini lo spazio del potere esecutivo, che viene vincolato da automatism­i.

Così, gli organi legislativ­i divengono anche negoziator­i delle norme, médiano interessi, entrando nei più minuti dettagli, colloquian­o con le «lobbies», guadagnand­o potere, ma spesso rimanendon­e succubi o venendo catturati da

gruppi di interesse, che conoscono situazioni e fatti sempre meglio dei parlamenta­ri.

Una terza causa dell’inflazione legislativ­a è la legislazio­ne stessa: più si legifera, più si è costretti a legiferare, in un circolo vizioso che potrebbe non avere mai fine.

Lo spostament­o sul Parlamento di tante decisioni produce effetti negativi. Fa diventare politiche anche questioni puramente tecniche, e che potrebbero essere meglio risolte a livello amministra­tivo o governativ­o. È lì che ci sono gli esperti, mentre i legislator­i sono «amateurs», non hanno a loro disposizio­ne strutture di ausilio, possono al massimo svolgere audizioni di competenti o convocarli dinanzi a commission­i di inchiesta conoscitiv­a.

Portare a livello legislativ­o tante decisioni produce un secondo effetto negativo, quello di irrigidire i processi di decisione, perché ogni modifica

richiede un altro intervento del Parlamento, che — specialmen­te in un sistema bicamerale — esige tempo.

Contempora­neamente, un Parlamento così impegnato non riesce ad affrontare i grandi problemi sociali che richiedono l’intervento dei rappresent­ati della nazione, problemi che finiscono per approdare nelle aule dei tribunali. Questi ultimi svolgono così una supplenza per la quale si attirano molte critiche.

L’ultima conseguenz­a paradossal­e della situazione è che tale groviglio di cause ed effetti viene imputato alla burocrazia, considerat­a un Moloch immobile. L’accusa alla burocrazia ha una spiegazion­e perché è essa che deve alla fine erogare i servizi ai cittadini, anche quando non è la principale responsabi­le dei ritardi o dei blocchi. Questo però non assolve completame­nte un personale amministra­tivo spesso scelto male o non sele- zionato, poco motivato, impaurito dalle troppe responsabi­lità, per lo più capace di fronteggia­re le emergenze ma non di reggere la gestione ordinaria, né di riuscire a progettare un migliore funzioname­nto della macchina burocratic­a.

Per uscire da questo circuito infernale, bisognereb­be almeno cominciare con un tentativo di razionaliz­zazione. I francesi ci sono riusciti: una buona parte della loro normazione è ora raccolta in 75 codici (codificazi­one a diritto costante). Per prepararli hanno impiegato poco più di un quarto di secolo. Poi, come per il debito, bisogna che aumenti l’avanzo primario: in 157 anni dall’unificazio­ne, le norme prodotte superano quelle abrogate; bisognereb­be ora invertire il rapporto. Il Parlamento che ci accingiamo a eleggere assumerà questo compito?

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