Il sindaco mediano «nemico di tutti»
Gli attacchi di Gino Strada e la telefonata di Renzi: «Sono un mediano di fatica»
Il «nemico del popolo» è un popolano, capita spesso. Pieno di buonsenso, capita anche questo: «Bah, sono solo uno che ha incrociato una storia più grossa di lui; ora vorrei scendere dallo steccato e smettere di esternare».
Sabato pomeriggio, mentre ventimila militanti antifascisti accorsi da tutta Italia sfilavano sotto le mura di Macerata, lui, Romano Carancini, se ne stava in municipio con assessori, staff e vigili, «guardando in streaming il corteo, pronti a intervenire in caso di emergenze che, per fortuna, non ci sono state». Molti slogan erano contro questo sindaco del Partito democratico, già capogruppo dei Ds, accusato di avere affossato la manifestazione, spaventando i concittadini e facendo blindare la città; insomma di essere responsabile dell’ennesimo divorzio consumato a sinistra: il Pd di qua, il resto del sol dell’avvenire di là...
Lui sospira, rassegnato: «Nientemeno. Senta, io non voglio dire cose più grandi di me. Nella vita trovi degli incroci. Puoi scegliere la scorciatoia per il consenso immediato o lavorare perché una scelta sia più profonda, meno strumentale. Io non ero affatto contro la manifestazione, non dico che non fosse importante. Ma c’erano pochi maceratesi, tanti non ci si sono ritrovati. Se continuiamo solo a fare manifestazioni mostrando forza muscolare, numeri e slogan, graffiamo appena la superficie, diventa un rito, una mera ripetizione di se stessi. La ritualità non va abbandonata, va superata. Bisognava ragionare, far capire, preparare, prima di marciare».
Carancini parla al telefono da Milano: è andato alla Bit per presentare la candidatura di Macerata a capitale della cultura 2020; venerdì si decide, con proclamazione a Roma. «Potrebbe essere la nostra ripartenza». Da sindaco vive questa specie di sdoppiamento: teatri, lirica e grandi eventi da una parte, orrori e rancori dall’altra. Dalla piazza di sabato gli sono volate addosso parole grosse: «Chi ha cercato di stoppare questa manifestazione è ideologicamente colluso o corrotto», ha tuonato Gino Strada. Lui si fa piccolo piccolo: «Un gigante come Strada che usa pietre così pesanti nei miei confronti mi lascia sbalordito. Cosa posso dire? Io sono corrotto dall’anima dei miei cittadini, sono colluso con tutti i ragazzini e i bambini della mia città».
Carancini è un falso mite, è piuttosto una colomba d’acciaio, comunque antropologicamente lontano ere geologiche da una certa sinistra di cachemire che l’aveva messo nel mirino già da giorni. Papà spazzino, gioventù con zero soldi in tasca, s’è pagato gli studi di Legge con il calcio. «Sono un tipo fortunato, al pallone me la cavavo, ho giocato in serie D nel Tolentino, prendevo qualche lira». Ruolo: ovviamente, mediano. «Mediano di fatica». Parla di quei tempi con pudore, «non facciamone un santino però». Cinquantasette anni, gli scontri di piazza degli Anni di piombo li guardava in tv e trasecolava. Da allora si tira dietro l’idea che «la vita è la vita», il valore più importante, «dobbiamo farlo comprendere a tutti».
Nella sua, di vita, il sabato più lungo dev’essere stato l’altro ieri. «Lo so, lo sapevo che per tanti ero il nemico, a destra e a sinistra». Al mattino s’è scambiato qualche sms con Renzi, che poi l’ha chiamato. Non gli ha detto stai sereno (risata). «No, mi ha detto stai tranquillo. Mi ha detto pure: vai avanti con la cosa che ti sembra più giusta per la tua comunità...». Sospiro paziente: «Ma non enfatizzi ‘sta conversazione, ci saremo parlati per un minuto». Lontano dalle fazioni quanto dalla retorica, il sindaco di Macerata si definisce «né renziano né antirenziano». Una furbata? «Macché! Non lo faccio per particolare intelligenza, ma solo perché non riesco proprio a starci nelle correnti. Però Renzi e anche Maurizio Martina hanno avuto uno straordinario rispetto della mia posizione. Io ho portato loro lo stato d’animo della città. Martina mi è stato molto vicino dal primo momento. A Renzi ho detto che dobbiamo sforzarci di spiegare alle persone il problema dell’immigrazione, dobbiamo cambiare quello che non va».
Tutti dobbiamo cambiare qualcosa, pensa il sindaco. Gli slogan sulle foibe erano rivoltanti, certo, «ma attorno c’era una grande manifestazione che non gridava affatto quella roba lì. Anche voi giornalisti avete responsabilità se enfatizzate. Lo capisce che ci stiamo sparando tra noi? Domani può essere il nero che spara al bianco. Va bene la campagna elettorale ma nessuno può chiamarsi fuori dalle proprie responsabilità».
La colomba d’acciaio è atterrata sulla politica per caso, dice. In crisi col mestiere d’avvocato, un collega l’ha trascinato verso il consiglio comunale. È al secondo mandato da sindaco ed è riuscito ad alienarsi anche una fetta delle simpatie del suo partito. Si capisce. In giunta ha gente che viene da Sel e dall’udc, ha sfruculiato meccanismi ed equilibri interni della società municipalizzata, ha pedonalizzato il centro storico sfidando l’ira dei commercianti («una volta mi hanno circondato e ho pensato, addio, mo’ me menano... Invece siamo brava gente qua a Macerata»). Ama la montagna. E lì s’è allenato alla saggezza, a resistere alle crisi. «C’è sempre un momento che dici: basta, prendo e scendo! Poi provi a ripartire». È talmente antipersonaggio che dovrà stare attento. Se il circo tv di acrobati e prestigiatori politici lo scopre, non lo molla più. E, allora, hai voglia a salire in montagna...
La manifestazione Sarebbe stato assurdo vietarla, ma pochi dei miei cittadini hanno deciso di partecipare