Usa con Israele: l’iran si fermi Ma Trump frena sulle colonie
Il presidente e la questione palestinese: temo che nessuno cerchi la pace
Le tappe del viaggio sono state decise prima che Israele e Iran si affrontassero in una mattinata di guerra. Eppure Rex Tillerson, il segretario di Stato americano, non ha cambiato l’itinerario, non ha aggiunto alle tappe previste — Egitto, Kuwait, Libano, Giordania — una sosta a Gerusalemme per incoraggiare l’alleato più importante in Medio Oriente. Certo sono arrivate le parole di sostegno dalla Casa Bianca («Israele ha il diritto di difendersi contro le forze siriane e le milizie sostenute dagli iraniani») ma è con Vladimir Putin che Benjamin Netanyahu ha parlato ieri al telefono.
Il premier israeliano è consapevole che se vuole mantenere le promesse minacciose («continueremo a colpire chi tenta di attaccarci») ha bisogno di garantirsi libertà d’azione, pur limitata dagli interessi russi in Siria. Così nel colloquio con Mosca avrebbe ottenuto dal presidente di continuare le comunicazioni tra i due stati maggiori: i raid per bersagliare le strutture militari del regime di Damasco o quelle allestite dalle milizie sciite come l’hezbollah libanese — le sortite dell’aviazione sarebbero state cento negli ultimi cinque anni — rischiano di mettere in pericolo i soldati o le basi russe nel Paese, ogni mossa va coordinata. Putin cerca di occupare sempre di più lo spazio lasciato libero dagli americani nella regione. Oggi doveva incontrare Abu Mazen, il presidente palestinese, nella residenza di Sochi sul Mar Nero: tutto rimandato per l’incidente aereo a Mosca. Il ruolo vacante sembra anche quello di negoziatore per un possibile accordo. Trump suona scoraggiato in un’intervista al giornale israeliano Israel Hayom: «I palestinesi non stanno cercando la pace e temo che neppure gli israeliani ci stiano provando». E ha aggiunto: «Credo che Israele debba essere molto cauto sugli insediamenti».
L’intelligence dell’esercito considera una questione chiusa quello che Yedioth Ahronoth, il quotidiano più venduto, definisce in prima pagina «Primo scontro militare diretto tra Israele e l’iran». Questione chiusa «per ora» — scrive Amos Harel, analista di Haaretz: «Tutt’e due i contendenti sono convinti di aver raggiunto gli obiettivi possibili in questo round iniziale. I generali israeliani sanno però che un altro duello è inevitabile». Lo dice Yoel Strick, a capo del comando Nord, il fronte che va dal Libano alle alture del Golan Premier
Bibi Netanyahu, 68 anni, al centro, ieri, durante la riunione settimanale del governo israeliano (Afp) catturate ai siriani nel 1967: «Non vogliamo un’escalation ma gli iraniani puntano a stabilire una base avanzata dall’altra parte del confine. Non glielo permetteremo». Lo ripete Yisrael Katz, ministro dell’intelligence: «Abbiamo la capacità tecnologica di sapere tutto quello che avviene in Siria e lo abbiamo dimostrato sabato. La nostra superiorità nei cieli è preservata».
L’ultima frase fa da replica ai proclami di Hezbollah («inizia una nuova era strategica) dopo l’abbattimento di uno dei jet che ha partecipato alla battaglia: è il primo caccia perso dall’aviazione di Tsahal dai tempi della guerra del Libano negli anni Ottanta.
I due piloti hanno pigiato il bottone di espulsione, erano nello spazio aereo israeliano, e si sono salvati. Nel bombardamento contro la base in Siria da dove è partito il drone che si è infiltrato in Israele sarebbero morti sei militari tra uomini del regime e «suoi alleati stranieri» come specifica l’osservatorio siriano per i diritti umani senza indicarne la nazionalità. Secondo gli esperti il velivolo comandato a distanza è stato costruito dagli ingegneri di Teheran copiando un modello catturato sette anni fa agli americani.
@dafrattini