ITALIANI
«Accettai senza avere la sceneggiatura, sapevo solo che c’era una scena di nudo. Pensai: vabbé che sarà mai. Invece, dovetti girarne una di auto masturbazione. Dopo, vomitai. Non ho mai più voluto fare scene forti di sesso e, in carriera, la mia lotta è stata per non ottenere solo ruoli da bonona».
Ora, su Instagram, la seguono soprattutto donne.
«Sentono che non sono una mangiauomini. Mi fa piacere perché non conosco invidia e competizione al femminile. Sui set, le colleghe più giovani mi dicono sempre: non mi è mai successo che un’altra attrice mi suggerisse di farmi sistemare meglio».
Ci sono attrici che preferiscono che le colleghe sembrino più brutte di come sono?
«Basta che una più star delle altre dica alla costumista “perché hai messo i tacchi e quella?” e lei capisce. O “perché è truccata così?”. Sono mezzucci e io all’inizio li ho subiti».
Delle molestie nel cinema si parla troppo o il necessario?
«Quando le cose diventano una moda, si ha il risultato opposto. La gente dice: vabbè, ti ha molestata, succede a tutte. Sono la prima a dire che la violenza sulle donne va condannata, ho condotto anche Amore Criminale su Raitre, ma bisognerebbe ponderare a chi dare la parola: ho visto parlare in pubblico colleghe che, mentre io stavo in fila ai provini, stavano a cena con i produttori».
Quanti ruoli ha perso a favore di attrici che andavano a cena con il produttore?
«Qualcuno. Certe dicono “faccio prima così”, e se non si sentono molestate va bene, non giudico. Ognuno sceglie di essere quello che è. Io avevo bisogno di dimostrare altre cose».
In particolare, cosa?
«Volevo che mia madre fosse fiera di me. Volevo dimostrare a lei e a me stessa che ero brava e avevo la testa sulle spalle. Mamma diceva: prima dei 30 anni, siete tutte belle, dopo hai qualcosa da dire solo se hai cervello».
Lei è mai stata molestata?
«Ho avuto avances garbate risolte con una risata. Non puoi togliere alle persone il diritto di provarci».
Sta con le intellettuali francesi quando dicono che la galanteria non è un delitto?
«Un capo che molesta in ufficio deve morire, ma non dobbiamo demonizzare un gioco di sguardi. Se no, è finita la vita. Ora, rischiamo il ridicolo: ho sentito di App in cui due vanno a cena e stabiliscono prima cosa fare e cosa no. A New York, facevo Gyrotonic al Rockfeller Il caso molestie Sono in prima fila contro la violenza sulle donne, ma attenti a chi dare la parola: ho visto parlare colleghe che, mentre io facevo i provini, stavano a cena con i produttori
I ricordi d’infanzia Figlia di separati, papà borghese e mamma popolana, sono nata vecchia: sentivo il peso della responsabilità dei figli più piccoli, ma fu un periodo bellissimo Center. È una disciplina in cui l’istruttore ti tocca per metterti in postura, ma lì non ti toccavano per paura di essere denunciati».
Ha firmato con altre 123 attrici e professioniste dello spettacolo l’appello contro le molestie intitolato «Dissenso comune».
«Spero che serva a non far sentire sola chi ha la necessità di denunciare. Se non si passa all’azione, l’ondata di ritorno sarà che tutto è lecito e cambierà solo che le ragazze ingenue staranno più attente».
Perché si è tenuta l’accento napoletano?
«L’ho ripreso negli ultimi due o tre anni. Riacquistando sicurezza, mi sono riappropriata delle radici. Mi piace assai».
Al cinema, è in «Napoli Velata» di Ferzan Ozpetek, quanto c’è della sua Napoli in quel film?
«C’è una città inedita nella bellezza: di solito si fanno vedere o il Vesuvio o le vele di Scampia, qui si vede una Napoli grande capitale di un regno, capitale di cultura, rinata in splendore negli ultimi anni».
Che ragazzina è stata in quella città?
«Figlia di separati, papà borghese e mamma popolana. Molto protetta, con poca libertà. Sono nata vecchia: mia madre, che intanto si era risposata, lavorava e io sentivo il peso della responsabilità dei fratelli più piccoli».
In cosa si concretizzava «il peso della responsabilità»?
«Tornavo a casa, mamma non c’era, io mettevo giù la pasta, cucinavo per noi tre, pulivo i piatti, poi studiavamo, alle quattro preparavo la merenda, alle 19.30 apparecchiavo per la cena».
Quanti anni aveva?
«Dieci».
Oggi sarebbe quasi da Telefono azzurro.
«Io lo ricordo come un bellissimo periodo di autogestione fra noi. Era normale e giusto, e una zia abitava sul pianerottolo, non eravamo abbandonati a noi stessi».
Lei in che modo cerca di responsabilizzare le sue figlie?
«Emma sa che deve rimettere a posto i giochi da sola e, il sabato e la domenica, facciamo il letto e cuciniamo insieme».
È una madre severa?
«Sono la parte normativa della famiglia. Però sono anche tattile: bacio, abbraccio, coccolo. E se sono fuori a lungo, come adesso che per dieci settimane ho girato La vita promessa di Ricky Tognazzi, una fiction sugli italiani d’inizio secolo immigrati in America, io e Luca ci scambiamo i ruoli».