Il successo del Festival, una celebrazione della tv generalista
D opo la prima giornata, dopo che gli ascolti hanno premiato il Festival della canzone di Baglioni, tutti sono saliti sul carro del vincitore. Persino la Hunziker è diventata una «brava presentatrice», ma non importa. Da cosa nasce il record di ascolti? Proviamo a esaminare alcune ipotesi.
La prima, la più scontata. Sanremo è un pezzo della nostra vita, ci riscalda e muove ricordi baglionici. Come quando rivediamo un parente dopo tanto tempo. Ipotesi corroborata dal fatto che la gente è stufa di dibattiti politici, di risse verbali, di cronaca nera. Lo scrivono in tanti (tutti si sentono autorizzati a scrivere di Sanremo), sarà vero. La seconda, detta anche «ipotesi Dibba», con molte scuse per l’ineleganza. Il deputato del M5S ha avuto parole poco forbite nei confronti degli italiani ed è finito nell’occhio del ciclone per averli additati come «rinco…».
Analisi poco raffinata, ma che getta un ponte interessante fra gli ascolti di Sanremo e le prossime elezioni. Vedremo. La terza ipotesi sembra la più stimolante.
In questi ultimi anni ci sono stati almeno due fattori che farebbero presagire un insuccesso di Sanremo: un ampliamento dell’offerta e una decisa frammentazione del consumo. Com’è possibile che questo trend cada proprio nei giorni del Festival? Non basta dire che sugli altri canali s’azzera l’offerta. No. È sufficiente seguire la frenetica attività dei social network (una gara a chi è più snob, a chi è più sarcastico, a chi è più intelligente) per capire che Sanremo è la reunion della tv, è la nostalgia stessa della tv d’antan.
E quanto più uno guarda solo le serie sul computer, tanto più, una volta l’anno, vuol celebrare non il Festival ma la tv generalista, quella che non guarda più perché ritenuta troppo gentista. In questo modo, Sanremo compie il miracolo di ammassare tutti i pubblici, anche i più giovani, come un raduno di veterani della Riviera.